Scatole cinesi.
Prima scatola cinese
Sto sognando, lo so. Entro in un bosco oscuro, con la sola luce della luna, debole, ad illuminare ciò che mi contorna. Non so dove sono, ma
dall’albero in fondo alla radura, la vedo sbucare maestosa. Tento di avvicinarmi, ma le mie gambe sembrano immobili. Osservo il suo passo regale, mentre si sdraia
alla mia destra. Io sono rapito.
La vedo come manto nero e giallo nel profondo delle mie iridi, la osservo
emergere dalla mia coscienza,
avvolta dal sogno ed ancora confusa. Percepisco il suo pelo
soffice sotto alle mie mani, ed esso sembra risuonare
come fosse
melodia. Eccepire da lei,
ovvero ignorarla mi è impossibile: il suo sguardo, il suo respirare; tigre:
il suo nome, mentre la sua voce,
avvolta d’animalesco, la descrive
nella sua perfezione.
So di sognare, so che è fantasia della mia mente quello
che di fronte a me si
rappresenta. Onirica ogni parte: il ghigno che sembra quasi un
sorriso; le zampe abili come
mani; il muso felino che ha la bellezza di un
volto. Discernerla come animale e non essere umano mi riesce impossibile, perciò
la guardo mentre avanza, ora che la scena del suo arrivo mi si ripropone davanti alla mia vista annebbiata dal sogno. I contorni sono sfocati,
e anche se la razionalità, in questo squarcio di delirio,
la so perduta,
non posso cercare ora un senso. Meglio la follia. Ed il senso di piacevole inquietudine.
Sogno, ne sono consapevole. Tigre che si avvicina a me, in un replay di ciò che ho già visto. Esiste l’inquietudine benevola? Se esiste, è come la vivo io adesso. Sto con al fianco una tigre affamata. O mi ignora, o m i uccide. Io
che con il mondo animale ho un contatto diretto, in questo sogno non posso
accettare la tranquillità, non oso ripetermi che va tutto bene, impossibile distendere i nervi. Non provavo la paura per il mondo animale... da quanto? Odierei
la mia stessa risposta, meglio evitare. Guardo il felino sdraiato al mio fianco, mentre si lecca le labbra, e sembra
gioia quella che scorgo? Non si può decifrare. Inutile ogni tentativo. Odo il suo ruggito sommesso. Cerco una via di fuga con gli occhi. Colgo un luogo in mezzo alla radura. Anelo alla salvezza di quella via di fuga, e mi felicito
nel vederla, ma non posso muovermi.
Sto sognando, ma come esserne certi?
La luce che circonda la scena
sembra diversa adesso. Improvvisamente, la via di fuga è scomparsa. Odo il nervosismo attraverso la voce della belva. Necessito di un luogo dove riparare. Ed invece in me vige solo paralisi,
ma di una paralisi strana, quasi auto inflitta. Mi guardo intorno. Ipotizzo la fuga con ogni mezzo, ma come fare? A tratti sembra che sia il mio stesso corpo a rifiutare il movimento, e
nell’emozione negativa che mi bracca, piango come un bambino. Ciarlo in maniera incomprensibile con il manto invisibile delle stelle. Conosco una sorta di sacro terrore. E tutto ciò che posso fare
è attendere che il sogno finisca, o forse la mia vita. Tenere alta la testa con dignità è l’imperativo di
sempre, ma quanto è difficile, mentre
lei si umetta le labbra, guardando la sua preda? Troppo lontana la mia volontà di fuga, quasi
estinta. Oscurata ogni opportunità. Muovo un muscolo, forse? Impossibile, solo un’impressione. Ricercare la calma
e quel movimento
irrecuperabile, ecco l’imperativo. Intanto la tigre si muove. Fiuta la mia paura. Insisto nel tentativo di liberarmi da questa tensione, che ora non è più così benevola. Urlo una richiesta d’aiuto, ma chi mi può togliere da questa situazione, adesso? Troppo tardi. Odoro già di morte. Morte. Abbandonarsi ad essa come entità superiore ed ineluttabile sembra l’unica speranza possibile.
Sto sognando, ma davvero? Ecco il dubbio più profondo, mentre un artiglio della tigre sfiora una mia gamba. Non posso muovermi! Zampa dopo zampa, il felino è su di me! Attacca la mia carne con i suoi artigli,
non dissimile dalla furia, anzi parte di essa. Dopo non ci sarà più dolore, mi dico. Immagino il peggiore degli inferni, e sarà sempre meglio di questa tortura. Mangerà la mia carne. E berrà il mio sangue. Ha la forza di mille elefanti di fronte alla mia atrofia. Obbedisce al suo istinto. Stendersi su di me e cibarsi delle mie carni è solo essere fedele
a se stessa. Oddio! Lacera il mio corpo! Oddio! Il freddo che sento è forse la
mia vita che se ne va? Lacera il mio corpo! Veniamo al mondo per morire, e la condizione della bestia, anche quella umana, è mangiare o essere mangiata: ecco la lezione. Uscendo da me, il sangue colora l’erba sotto alla mia schiena e tutto intorno. Ora non so più distinguere se questo sia sogno o realtà. Troppo delirio perchè la mente possa ragionare. Obbedisco anch’io alle leggi della Natura, lasciando entrare la Morte, che viene a me come una perfida
sorella.
Seconda scatola cinese
(creata con le parole in corsivo della prima)
Dall’albero alla mia destra, la vedo emergere, soffice come una melodia, ovvero il suo nome, avvolta nella perfezione che rappresenta: sorriso, mani, volto. La guardo mentre avanza. E anche se la so perduta, non posso che accettare la gioia nel vederla. La luce sembra diversa, ma nell’emozione è sempre lei: estinta e irrecuperabile, non dissimile a se stessa; mia sorella...
Terza scatola cinese
(creata con le lettere maiuscole della prima)
SENTO IL PESO DI ME STESSO
IN OGNI OCCASIONE
MI ACCETTO, MI RIFIUTO
MA SENZA DI ME, HO SOLO IL VUOTO
[Modificato da stivi handler 24/07/2007 21.58]