Nuova Discussione
Rispondi
 

Clarissa. [Spot Stivi x SOTR]

Ultimo Aggiornamento: 23/05/2007 14:56
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Scheda Utente
Post: 1.583
Post: 1.576
Registrato il: 06/11/2006
Sesso: Maschile
Power Handler
Desperation Iron Man Champion
Stivi / Canzano
20/05/2007 16:06
 
Quota

Clarissa.


Il mattino seguente.


L’agente Philip Kogan prese il cellulare e informò il commissario di polizia, mentre rovistava all’interno dell’automobile, senza trovarvi nulla di particolare.

“Sì, signore, abbiamo trovato un’auto poco distante dall’accaduto. No, non c’è nulla di rilevante da segnalare, signore. Oggetti femminili come un lucidalabbra e uno specchietto. Nessun effetto personale, nessun documento. Non abbiamo trovato nemmeno i documenti di circolazione dell’auto. Tutto sparito. Cominciamo a sospettare si trattasse di un’auto rubata. Attendo la scientifica per condurre rilevamenti più...”
L’agente scorse qualcosa muoversi sul tappetino dell’auto, davanti al sedile del passeggero.
“Ma che diavolo...”
Frenetico, quasi schizzando da una parte all’altra, si muoveva un minuscolo scorpione.


Ieri.


Clarissa lo guardò di nuovo. La bocca sempre distorta in quel sorriso ironico ma, a modo suo, triste. Gli occhi che scrutavano in giro, in febbrile movimento, attenti a ciò che accadeva, fosse il movimento più insignificante del mondo. Ma lui sembrava volerlo cogliere lo stesso. Dal collo in giù, il corpo sembrava rigido come una statua, non accennava al minimo movimento. Eppure la rassicurava, chissà perchè.

Lo aveva trovato poche ore prima in una stazione di servizio. Lei era entrata nel bar retrostante le pompe, mentre l’addetto le faceva il pieno, per comprare qualche bibita e qualcosa da mangiare. La strada che doveva percorrere era ancora lunga, e lei non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Avrebbe consumato un pasto frugale in auto. E il sonno che avrebbe potuto soffrire... beh, avrebbe fatto bene a mettersi in sciopero, una volta tanto. Il colloquio di lavoro era sopra ogni altra cosa, nella scala delle priorità. Ad un certo punto, si era girata e lui era là, in tutta la sua altezza e nel suo fisico imponente. All’istante, aveva pensato a quei guerrieri greci che aveva visto in un dipinto quand’era adolescente, e che l’avevano affascinata nel profondo. Forse questo collegamento aveva influito, ma non solo. Il ragazzo era bagnato fradicio per colpa dell’acquazzone che si era abbattuto sulla città da almeno un paio d’ore.

“Ho bisogno di un passaggio,” aveva detto, semplicemente. Senza presentarsi, senza preamboli. Rude come un guerriero greco. In un certo senso, selvaggio ed animalesco.
“Dove deve andare?”
Lei non aveva esitato un istante. Dentro di sé, sapeva già che avrebbe offerto quel passaggio che il ragazzo chiedeva.
“In nessun luogo. O dappertutto.”
“È una risposta... alquanto eccentrica, non le pare?”
“Clarissa...” aveva detto lui, e lei era trasalita all’istante.
“Come sa il mio nome?”
Doveva sentirsi irritata ed impaurita allo stesso tempo, ma il fatto che avesse pronunciato il suo nome di battesimo le aveva trasferito una strana sensazione di intimità.
“Clarissa...” aveva ripetuto il ragazzo, “fidati di me.”
E lei, per una qualche ragione che sfuggiva alla sua comprensione, si era fidata...

Ora però si erano persi.
Come aveva fatto a sbagliare strada? Cosa le era preso? Aveva quasi la sensazione di non aver scelto lei la direzione da prendere. Era come se una voce nella testa le avesse indicato dove svoltare, che strada intraprendere. E così si erano trovati lontani dalla città, lungo una strada municipale non asfaltata, persi fra la vegetazione incolta, chissà dove nello stato della North Carolina. La pioggia che continuava a scendere da ore ormai aveva reso quella strada quasi impraticabile. L’auto grugniva, scivola nel fango, sembrava non dovercela fare.
“Dannazione, persi nel nulla!” gridò la ragazza.
“Clarissa...” disse ancora una volta l’enigmatico ragazzo (ma era come se non avesse parlato affatto: una voce nella testa...), “fidati di me.”
L’aveva detto una mezza dozzina di volte, e lei continuava a credergli.
L’auto invece non si fidò più di nessuno. Tossì un paio di volte, quindi spirò. Clarissa tentò di riavviare il motore, ma ne ottenne soltanto inutili rantoli.
“Te ne intendi di motori?” chiese, scendendo.
Il ragazzo scese dall’auto senza rispondere.

Pochi minuti dopo, si stavano avviando a piedi verso chissà dove. L’auto era irrimediabilmente defunta, così il ragazzo aveva cominciato ad incamminarsi a piedi, e lei lo aveva seguito, senza un motivo apparente. Sentiva che non poteva staccarsi da lui.
In poco tempo, giunsero ad una abitazione. Sembrava essere l’unica nel raggio di alcuni chilometri. Il ragazzo vi si avviò con passo sicuro, avviandosi per il vialetto. Era come se conoscesse quel luogo da sempre, e questo le donava fiducia.
“Ci ospiteranno,” disse semplicemente, girandosi verso Clarissa.
Lei avrebbe voluto obiettare che non poteva permettersi di trovare un ricovero per la notte, lei doveva ripartire subito, aveva degli impegni; ma, ancora una volta senza una ragione, desistette dal protestare, e lo seguì.


Il mattino seguente.


Nel commissariato di polizia, il commissario Bergman sollevò il ricevitore del telefono per chissà quale volta nel corso della mattinata. Ma che bel modo di iniziare la giornata, pensò.

“Sì? Agente Kogan, mi dica... Come sarebbe a dire cadaveri? Fate tutti i sopralluoghi del caso! Controllate anche il più piccolo centimetro! Io vi raggiungerò appena possibile! D’accordo, arrivo subito.”

Il commissario Bergman sbatté il ricevitore: che bella gatta da pelare...


Ieri.


“E dunque lei dovrebbe recarsi là per lavoro?” diceva la signora che li aveva ospitati.
“Esatto,” rispose Clarissa. “Per cui... se di qui passassero degli autobus, io...”
Il marito della signora scosse la testa, facendo una piccola risatina sarcastica. “Autobus? No, neanche l’ombra, in questo posto dimenticato da dio...”
“Già, qui c’è solo Satana,” ribatté la donna, senza la minima traccia di ironia nella voce. “Sette sataniche, adoratori del maligno. Sono dappertutto. E noi abbiamo cominciato a conviverci.”
L’uomo annuì. “Esatto. E a volte anche ad apprezzarli.”
“Apprezzarli?” Clarissa volse lo sguardo verso il ragazzo, che però stava cenando tranquillo, quasi che la conversazione non gli interessasse affatto. “Come si possono apprezzare dei satanisti?”
“Hanno fatto cose positive, signorina...” ribatté l’uomo, con un brutto sorriso sarcastico dipinto sulle labbra.
Ancora una volta, Clarissa guardò Stivi, il quale però non sollevò il volto a darle conforto alcuno. Cominciava a dubitare di poter davvero fidarsi di lui.
“Io... credo che noi dobbiamo andare...” disse Clarissa, alzandosi e dirigendosi verso la porta d’ingresso. Ma quando stava per aprirla e gettarsi fuori (meglio la pioggia, meglio la pioggia che questi pazzi!), una mano ferma e forte la bloccò, facendola trasalire. Si voltò e Stivi era dietro di lei, ad impedirle di andarsene.
Il ragazzo scosse la testa.
“Ma Stivi... questi sono due pazzi! Adoratori di Satana! Potrebbero violentarmi, ucciderci entrambi, io...” Era quasi sull’orlo delle lacrime.
“Fidati di me,” disse Stivi.
E lei, sempre più insensatamente, si fidò.
“Fermiamoci per la notte,” propose il ragazzo. “Domattina vedrai tutto in maniera più chiara. Sei solo un po’ suggestionata...”
Era il discorso più lungo che gli sentiva fare da quando si erano conosciuti. In qualche modo, si fidò anche di quelle parole, decidendo definitivamente di restare.

La padrona di casa fu gentile ed ospitale, come si conviene. Eppure Clarissa, nonostante quei modi così benevoli, non riusciva a sentirsi in colpa per aver dubitato di loro. C’era qualcosa in quella coppia di coniugi di mezza età che non la convinceva. E non era solo per quell’allusione ai riti satanici, ma c’era qualcosa nei loro modi, nella maniera in cui la guardavano che le incuteva un terrore quasi atavico, ancestrale. Si sentiva come uno di quei personaggi presenti nei racconti di H.P. Lovecraft, sopraffatta da forze che lei non riusciva a dominare. E aveva uno strano brusio nella testa, come se vi fosse una voce che mormorava di continuo che qualcosa non andava, che il pericolo era imminente. Dall’altra parte del suo animo, c’era Stivi: si muoveva sicuro, e trasmetteva sicurezza. Di fianco a quel ragazzo taciturno e affascinante, che emanava solo sensazioni positive, lei si sentiva stranamente protetta. Fosse crollato il cielo, lei non avrebbe subito alcun male: Stivi avrebbe alzato le braccia, avrebbe afferrato la volta celeste e l’avrebbe spostata un po’ più in là, dove non avesse potuto caderle sulla testa. Stivi poteva tutto.
“Noi ci ritiriamo, signorina. Voi potete rimanere alzati finché vorrete, non ci darete fastidio,” disse la donna, dopo aver riordinato la cucina.
“Non si preoccupi, signora. Siamo stanchi. È meglio che anche noi andiamo a dormire.”
“Come preferite. Mio marito mi raggiungerà presto. È fuori, sta facendo... delle cose.”
Clarissa strabuzzò gli occhi. “Fuori? Con questo tempo?”
La donna non rispose. Fece per uscire dalla cucina, quindi si volse come per un ripensamento. “Oh, che sbadata. Dimentico sempre le cose importanti!”
Si girò e andò alla credenza, dalla quale estrasse un enorme coltello, simile a quello che si usano per sgozzare i maiali. Si avvicinò a Clarissa e glielo pose vicino alla gola, come per brandirlo. La ragazza tremava, sentiva il terrore salirle lungo la schiena. Si voltò verso Stivi, ma lui non la guardava nemmeno. Voleva gridare, attirare la sua attenzione, ma la voce le moriva in gola ad ogni tentativo.
“Vede...” disse la donna, uno scintillio sulla lama che brandiva. “Non si può mai sapere...”
Detto questo, ritrasse il coltello ed uscì dalla stanza.
Clarissa trasse un sospiro di sollievo, ma la calma non venne del tutto. Il terrore era lì, a pulsarle nel cuore. Vedeva molte ombre ora: ombre di morte imminente.
Prese Stivi per una spalla.
“Stivi...”
“Che c’è?”
“Ma non hai visto? Quella donna... oh mio dio, Stivi, quella donna mi ha puntato un coltello alla gola! Dobbiamo andarcene, ti dico, andarcene subito!”
“Guarda...”
Stivi le indirizzò dolcemente il volto verso la finestra e lei vide che il padrone di casa se ne stava inginocchiato di fronte ad un enorme catasta che bruciava, e sembrava gridare verso il cielo.
“Ha innaffiato tutto di benzina,” spiegò Stivi, “per questo la pioggia fatica a spegnere le fiamme. Dev’essere una specie di rito, non so...”
Clarissa stava piangendo. Lacrime di paura solcavano il suo giovane volto. “Sono dei pazzi, Stivi! Vedila come vuoi, ma io...”
“Ssssst!” disse Stivi, asciugandole dolcemente le lacrime con le dita. “Sono innocui, Clarissa. Fidati di me. Ti fidi, Clarissa?”
Che dio la perdonasse, si fidava...
“Sì...” ammise. Ciononostante, pregò Geova, Buddha e Groucho Marx: datemi la forza, la serenità, il senso dell’umorismo.
“Se tu dici che sono innocui, io mi fido. Ma c’è un altro problema...”
“Quale problema?”
“Non mi hanno detto dove si trova la mia stanza.”
Stivi sorrise, ma non fu piacevole quella ruga sulle labbra. “Per questo non c’è problema. Si trova al piano di sopra, in fondo al corridoio a destra.”
Per l’ennesima volta, Clarissa venne colta da stupore. “Come... come fai a saperlo?”
“Io...” (scorse dell’insicurezza nel ragazzo, e non le piacque affatto) “non lo so...” ammise Stivi.
“Lo vedi? C’è qualcosa in questa casa, qualcosa in loro, non so, ma io...”
“Non strillare. C’è un solo modo per vedere se ho ragione. Andare a controllare.”
Le scale di legno scricchiolavano. Il rumore sinistro non rassicurava certo la mente stressata di Clarissa. Salirono al piano di sopra. Il corridoio presentava due stanze sulla sinistra e due stanze sulla destra. La ragazza ebbe un attimo di esitazione.
“In fondo a destra. Forza, Clarissa. Fidati di me...”
Clarissa si fece coraggio, nonostante Geova non le avesse concesso la forza, nonostante quel menefreghista di Buddha non le avesse portato la serenità e nonostante Groucho Marx, da buon mortale deceduto, si fosse dimostrato incapace di donarle il senso dell’umorismo. Avanzò. Con esitazione. Con cautela. Quando giunse alla porta, la aprì lentamente ed accese la luce, trasalendo: era davvero una camera da letto.
“Stivi...”
Il ragazzo portò le sue mani ai lati del volto di Clarissa, quindi poggiò la fronte su quella di lei. “Ascolta... Non significa nulla. Può essere che tutte le stanze di questo piano siano stanze da letto. Non ti pare? Devono avere dei figli sposati da qualche parte, che fino a qualche anno fa dormivano qui. Non c’è niente di anormale in questo...”
Per un attimo dubitò, ma poi Stivi le sorrise, le disse la solita frase per lei ipnotizzante e decise di fidarsi di nuovo. Sapeva in cuor suo che in quel ragazzo avrebbe continuato a riporre fiducia ad oltranza. Quindi entrò nella camera e tastò il letto: solido e morbido allo stesso tempo.
“Non avevo previsto di dormire. Non ho un pigiama,” disse con un filo di imbarazzo.
“Ne trovi uno nel secondo cassetto di quel mobile...”
Clarissa e Stivi trasalirono contemporaneamente.
“Non è...” cominciò Clarissa.
“C’è solo un modo per saperlo, Clarissa...” propose Stivi.
“Sì. Controllare.”
La ragazza spalancò il cassetto, e vi trovò solo un pigiama da donna.
“Stivi...”
Il ragazzo pareva sconcertato quanto lei.
“C’è qualcosa che non va in questa casa, Stivi. Renditene conto, ti prego!”
“Non ti preoccupare...”
“Non ti preoccupare? Dico sei matto, tonto o che cosa?”
“Hai smesso di fidarti di me, Clarissa?”
“No, io... no, mi fido... mi fido... che dio mi perdoni, ma mi fido di te... Solo...”
“Che cosa?”
“Rimani con me. Dormi in questa stanza. Mi sentirò più sicura.”
Stivi parve sulle prime titubante, poi acconsentì. “Mi sistemerò sulla poltrona. Starò comodo lo stesso.”
Clarissa lo attirò a sé. “No. Con me,” disse, inequivocabilmente.


Il mattino seguente.


Il commissario Bergman arrivò che erano quasi le undici del mattino. L’agente Kogan gli corse incontro con qualcosa nella mano.
“Commissario,” disse, agitando un recipiente di vetro. “Abbiamo trovato questo nell’auto.”
Bergman guardò nel recipiente e vi vide il piccolo scorpione. “Che significa?” chiese.
“Ancora non lo sappiamo.”
Bergman sbuffò. “I cadaveri sono identificabili?”
“Sì, nonostante tutto, lo sono.”
“Bene, allora...” disse il commissario apprestandosi ad entrare nell’abitazione. “Diamoci da fare.”


Ieri.


Clarissa dormiva tranquilla. Verso le quattro del mattino, però, qualcosa la svegliò. Tese le orecchie per sentire meglio quindi udì quel suono in tutta la sua chiarezza, sgombrando dal campo l’ipotesi di aver sognato: delle urla di bambini, che sembravano piangere, supplicare. Quelle grida le resero il sangue simile alla banchisa artica. Scosse Stivi fino a svegliarlo. Nel dormiveglia, Stivi mugolò parole incomprensibili.
“Stivi...” insistette.
“Che c’è?” Ora era completamente sveglio.
Clarissa si alzò dal letto, e si avvicinò alla porta, tutta tesa nell’ascolto. “Non li senti?”
“Sentire cosa?”
“I bambini. Che chiedono aiuto. Ascolta...”
Stivi si alzò, camminò verso la porta. “Clarissa, io non sento nulla...”
“Ma santoddio, Stivi, ascolta!”
Stivi scosse la testa. “Sto ascoltando, Clarissa, ma non sento nulla.”
“Oh, al diavolo! Io vado a vedere!”
Aprì la porta e fece per gettarsi nel corridoio, ma Stivi la trattenne per una spalla.
“Aspetta. Prendi questa, non si sa mai,” e le offrì un’ascia.
“Dove l’hai presa? E a che mi serve?”
“Era sotto al letto. E quanto all’occorrenza... non ricordi? Il coltello della donna...”
“Vero...”
Stivi la guardò, aveva un’espressione dura nel volto. Non sembrava nemmeno la stessa faccia che aveva visto sino a quel momento. Era... malvagio. “Ora vai,” le disse.
“Tu non vieni?”
“Io non vengo.”
Clarissa ebbe un moto di rabbia. “Va bene, dannatissimo vigliacco! Me la caverò da sola!”
Clarissa si gettò nel corridoio. I bambini imploravano, supplicavano, esigevano. Lei non poteva lasciare che le loro grida rimanessero lettera morta. Faceva improvvisamente freddo in quel corridoio. Avanzò lenta ma decisa nella semioscurità. Ad un certo punto, passò di fianco ad una porta, e ne sentì giungere un rumore: un russare ritmico e profondo. Era la stanza, la loro stanza! I due bastardi coniugi che sequestravano bambini erano lì! Là dentro, sì, là dentro! A dormire, mentre quelle povere creature soffrivano! Erano loro, solo loro: i carcerieri! Dannati esseri immondi!
Clarissa sfondò la porta con un colpo d’ascia, quindi accese la luce. I due coniugi ebbero un sussulto, ma Clarissa li incalzò. “Dove sono?” gridò.
“Dove sono chi?” chiese la donna, spaventatissima.
“I bambini!” Esigeva la risposta. A costo di ammazzarli, farli a brandelli.
“Quali bambini?”
“I bambini che gridano!”
La donna si portò le mani al volto, cominciò a piangere. Singhiozzi disperati. “Non abbiamo figli. Non più! Li abbiamo... li abbiamo perduti!”
“Balle!” ribatté Clarissa.
Il marito scese dal letto, mosso da una rabbia quasi inumana. “Dannata troia! Sei venuta fin qui per ricordarci il nostro dramma?”
Ma non ebbe il tempo di aggredirla. Vibrò un colpo con l’ascia, che colpì l’uomo alla spalla. Un secondo colpo lo prese al braccio destro esponendone l’osso. Quindi Clarissa, nel pieno di una furia che la riscaldava, colpì l’uomo una mezza dozzina di volte, riducendolo in pezzi, parti di umanità sbrindellata, raccolta da un tappeto bianco che s’andava pian piano colorando di vermiglio. La moglie gridava come un’ossessa, implorava aiuto. Clarissa non poteva permetterlo: quelle grida oscuravano quelle dei bambini; solo loro avevano il diritto di chiedere aiuto. Le si avvicinò e colpì, colpì... COLPÌ! Cristo, se colpì! Le coperte erano un ripieno di parti umane. Clarissa cadde in ginocchio, sfinita; il volto, il pigiama, le mani schizzate di sangue non suo. E le piaceva! Dio, non l’aveva mai fatto, ma era... sublime!
“Brava, Clarissa. Hai fatto un ottimo lavoro.”
Si girò e sulla porta vide Stivi. Ora ne era certa: c’era della malvagità nel suo volto.
“E tutto questo senza che io abbia dovuto sporcarmi le mani. Davvero brava...”


Il pomeriggio seguente.


“Dannazione, com’è possibile?” chiese il commissario Bergman all’agente che gli aveva portato i primi rilievi della scientifica. “È assurdo!”
“Lo so, ma questi sono i risultati. È stata la ragazza ad uccidere i coniugi.”
“Non può essere! Ci dev’essere un errore!”
“Nessun errore, commissario.”
Bergman guardò l’agente con uno sguardo smarrito. “Ma allora chi ha ucciso lei?”
L’agente allungò la seconda parte del referto al commissario. “Ecco... questa è la parte più interessante della vicenda...”


Ieri.


“I bambini...” disse Clarissa, il fiato che le si spezzava per lo sforzo, ora che l’adrenalina se n’era andata. “Non gridano più...”
“Non hanno mai gridato,” disse Stivi.
“Cosa?”
Stivi si avvicinò ai resti dell’uomo, quindi scrutò quelli della donna. In mano teneva qualcosa che ancora Clarissa non era riuscita a distinguere, avvolto da un drappo nero. “Non sempre per vendicarsi c’è bisogno di sporcarsi le mani. Grazie di aver fatto questo per me...”
“Per te? Io l’ho fatto per i bambini!”
“Non ci sono bambini prigionieri in questa casa, Clarissa. Da qualche anno, erano diventati bizzarri, ma sono stato sincero quando ti ho detto che erano innocui.”
“Tu...” Clarissa non riusciva a comprendere bene la situazione. “Tu li conoscevi?”
“Certo...” rispose Stivi, quel ghigno malato sul volto. “Erano i miei genitori.”
“Che cazzo stai dicendo?” sbottò Clarissa. “Come possono essere i tuoi genitori, se non ti hanno minimamente riconosciuto!”
“Quando io e Melody ce ne siamo andati di casa, hanno vissuto un periodo di profonda depressione dovuta al senso di colpa. Questo gli ha fottuto il cervello, Clarissa. Erano pazzi. Proprio come te.”
Clarissa ebbe un contraccolpo emotivo a quelle parole. “Pazza? Io non sono pazza!”
“Sei anni di clinica psichiatrica per crisi depressive condite da comportamenti autolesionisti. Non è la biografia di una persona sana di mente...”
Clarissa si sedette per terra, contro il letto, la testa tenuta fra le mani. “Io... Io sono guarita...”
Stivi rise e il suono che uscì dalla sua bocca fu decisamente spiacevole. “La follia non muore mai. È sempre lì, in attesa di uscire di nuovo. E io ho aiutato la tua pazzia latente.”
“Razza di bastardo, tu mi hai fatto compiere questo!”
Clarissa cercò con lo sguardo l’ascia. Era disposta ad uccidere ancora, adesso, dopo aver assaporato il gusto del sangue. Ma l’arma era rimasta fuori della sua portata.
Stivi si abbassò, pose davanti a lei ciò che celava dietro a quel drappo nero.
“Cosa... vuoi... fare, Stivi?”
Stivi sorrise. “Credevo di aver trovato in te la donna giusta, ma mi sbagliavo.”
“La... donna giusta?”
“Sei troppo fragile di carattere. Mi dispiace, la nostra collaborazione finisce qui.”
Svelò il drappo, e mostrò a Clarissa ciò che conteneva. La ragazza strillò: una mezza dozzina di giganteschi ragni scimmia dell’Amazzonia premevano contro il vetro della piccola teca che il ragazzo teneva in mano.
“No, ti prego... NO!”
“Mi dispiace,” disse Stivi, ma con un tono di voce che faceva capire che non gli dispiaceva affatto. Versò il contenuto della teca addosso a Clarissa, intimandola a non muoversi, se voleva vivere qualche minuto in più. I ragni scimmia si mossero su tutto il corpo della giovane donna, che rimaneva rigida, mentre Stivi lasciava la stanza mormorando un asettico: “Addio...”

Pochi minuti dopo, mentre abbandonava l’abitazione, Stivi la sentì gridare. Si era già lasciata mordere. Decisamente, non era la donna adatta allo scopo. Peccato, la ricerca continuava... Stivi scese il vialetto e si diresse laddove il sole stava sorgendo. Ad est. Qualsiasi cosa ad est si potesse trovare...
OFFLINE
Scheda Utente
Post: 5.672
Post: 573
Registrato il: 14/10/2006
Età: 36
Sesso: Maschile
Power Handler
Uppercarder
Drago / Denny Leone
Over the God
21/05/2007 14:08
 
Quota

Madonna ma quanto è stronzo e manipolatore sto Stivi? La storia è scritta molto bene, ed è favolosa. Un altro grande lavoro di questo ragazzo.

Che devo dire, tra lui e Canzano non so chi sia andato meglio a questo giro, so che sono lavori a dir poco eccellenti!
OFFLINE
Scheda Utente
Post: 10.175
Post: 1.649
Registrato il: 06/08/2006
Città: ROMA
Età: 36
Sesso: Maschile
Power Handler
Desperation Iron Man Champion
Jaz / Cazador / McClure
23/05/2007 14:43
 
Quota

no doggy, no commento [SM=x1183763]
OFFLINE
Scheda Utente
Post: 28.650
Post: 4.116
Registrato il: 12/07/2006
Città: VERCELLI
Età: 39
Sesso: Maschile
CITH - Boss WBFF
Wrestler of the Year
Ava Misfit
The Boss
23/05/2007 14:56
 
Quota

se Fargas faceva uno spot così a quest'ora aveva tutti i titoli in suo possesso. [SM=x1183764]

Complimenti, altro grande spot. Quando ho visto quel lavorone di Canzano ho pensato "Stivi avrà giocato tutto su quel pg", invece leggo questo lavorone pazzesco. [SM=g27831]

Benissimo, la lotta è aperta. Sono molto curioso di vedere chi vincerà alla fine.

Dimenticavo: avevo immaginato che fossero i genitori di Stivi, sapeva troppo bene le cose su di loro.
Sono un amante delle ambientazioni alla Lovecraft. Tempo fa iniziai a scrivere un romanzo su un gruppo di amici che andavano in una villa abbandonata ed iniziavano ad impazzire. Alla fine, si scopriva che tutto quello che era successo era avvenuto sì, ma in una dimensione parallela. Il protagonista aveva capito che non poteva più tornare indietro e diventò vittima della follia.

[Modificato da cell in the hell 23/05/2007 15.11]

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 07:15. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com