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Sotto tiro

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2007 11:35
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14/02/2007 20:08
 
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Un uomo camminava nell'oscurità di una deserta strada di New York. Solo pochi lampioni fendevano il buio umido dell'aria invernale.
Impermeabile, cappello, mocassini. Un uomo comune.
Eppure quella notte quell'uomo come tanti aveva qualcosa di terribilmente particolare: stava tornando a casa, ma sapeva che non ci sarebbe arrivato; che la sua vita sarebbe finita quella sera, per la strada.
Quell'uomo lo sapeva perché in quella città c'era nato e cresciuto, e sapeva come andavano le cose: aveva visto troppo, e soprattutto aveva parlato troppo. Un uomo potente e pericoloso era finito in galera per colpa sua. E quella era stata la sua condanna. Una vita felice la sua: moglie, figlio, un piccolo negozio. E quella vita era arrivata alla fine solo perché aveva fatto quello che i benpensanti chiamano "dovere civico".
Aveva visto un uomo, coadiuvato da due sgherri, massacrare di botte un'altro negoziante nel vicolo dietro il suo negozio solo perché non aveva pagato la loro protezione. E alla fine aveva visto quell'uomo piantargli in testa una pallottola. Lui lo aveva denunciato, e quell'uomo era finito in galera. Tutto regolare.
Purtroppo per lui però quell'uomo era il figlio del capo di una delle più potenti bande di trafficanti di droga di New York, e nel momento in cui era stato arrestato aveva giurato di fargliela pagare. E il padre lo aveva condannato a morte.
Erano tre giorni che si aspettava di essere ucciso, e quella sera sentiva che il momento era arrivato; per tutto il giorno aveva visto un uomo osservare la vetrina del suo negozio; quando aveva chiuso la bottega non c'era più, ma per tutta la strada si era sentito osservato; da un mirino, immaginava, con dietro l'occhio di uno che in lui vedeva solo il modo per procurarsi lo stipendio.

Ancora poco...

Non sentì neanche gli spari; il rumore del fucile automatico che puntava contro la sua schiena da un vicolo fu attutito da un silenziatore; il solo rumore della morte fu il fischio dei proiettili, tre in tutto, che entrarono nella schiena dell'uomo, attraversarono il suo corpo ed uscirono dal petto.
Non ebbe neanche il tempo di urlare o di dire una preghiera. Solo una lacrima solitaria attraversò il suo volto prima che il so corpo si abbattesse sull'asfalto.
A qualche decina di metri Leigh Hunt, un uomo alto e grosso con una lunga barba nera, abbassò il fucile scuotendo la testa. Non che gli dispiacesse per quel tipo. Faceva quel mestiere da quasi quindici anni, da quando aveva lasciato i marines; la sua coscienza era scomparsa completamente dopo la Guerra del Golfo, e per lui il killer era un mestiere come un'altro.
Non era contento del funzionamento del fucile che aveva usato; aveva impiegato un semiautomatico russo Ruger, che in teoria doveva essere una delle armi più affidabili del suo piccolo arsenale personale, ma che invece aveva mostrato una preoccupate tendenza ad incepparsi.
Mentre smontava il mirino laser e metteva il fucile nella custodia si diede dello stupido: quella sera era stato tutto facile, ma se si fosse trovato con un'arma in cattive condizioni in una situazione più pericolosa la sua vita sarebbe stata in pericolo. Nel suo mestiere la vita dipendeva spesso dal funzionamento delle armi che usava, quindi doveva trattarle bene. Mentre si allontanava dal luogo del suo ennesimo omicidio si promise di dare una controllata a tutto il suo arsenale. Ne andava della pelle.

Un'ora dopo Hunt era seduto nella cucina di casa sua, un piccolo appartamento al pianterreno in periferia. Il tavolo era occupato da un assortimento di armi da far invidia ad un deposito militare; in mano il killer aveva la canna smontata di un mitra americano, che stava pulendo.
Era rassicurato: tutto il suo arsenale funzionava alla perfezione con quell'attrezzatura, lui era una macchina per uccidere, pronto a tutto.
Un rumore, come di vetro che si spezza.
Hunt si alzò subito dal tavolo. Il rumore sembrava venire dal bagno. Lentamente, misurando ogni passo, uscì dalla cucina ed entrò nell'ingresso. La casa era buia, e buia la lasciò. Aveva imparato a non aver bisogno di luce, e se in casa sua c'era un intruso l'oscurità poteva essere un'alleata preziosa. Silenziosamente aprì il cassetto di un mobiletto nell'ingresso e prese una pistola, una Walter automatica. Era un'altra regola fondamentale: se rischi di trovarti in uno scontro, cerca di non arrivarci a mani nude.
Mentalmente pensò a dove potesse essere l'intruso: probabilmente lo aspettava nella stanza davanti al bagno, la camera, pronto a sparargli alle spalle. Non si chiese neanche chi potesse averlo mandato: con tutti i nemici che si era fatto, c'era solo l'imbarazzo della scelta.
Non sentiva alcun rumore; sembrava non esserci nessuno; decise che il modo migliore per individuare la trappola era farla scattare; pronto a girarsi di colpo e sparare, entrò nel bagno.
Quello che vide fece distendere i suoi nervi: sotto la finestra del bagno, che era ancora chiusa, c'era solo un sasso; probabilmente era opera di un ragazzino dispettoso; niente nemici per quella sera.

Rilassato, Hunt tornò in cucina, lasciando la pistola nell'ingresso.

Fu questione di pochi secondi: nonostante la enorme quantità di armi che occupavano il tavolino, vide subito che una mancava: il suo revolver Smith & Wesson, la sola carica. Poi vide, riflesso nella finestra forzata della cucina, l'ombra di qualcuno alle sue spalle. Dandosi mentalmente dell'idiota per essere caduto in una trappola tanto stupida, si voltò con la velocità di una belva ferita, ma il suo mento urtò con terrificante violenza contro una mano armata di tirapugni. Il killer fu scagliato contro il tavolo, che si spaccò sotto il suo peso, rovesciando tutte le armi.
Mark si massaggiò la mano e fissò con odio il volto sanguinante dell'uomo che giaceva stordito davanti a lui; ci aveva messo anni a trovarlo, ma finalmente aveva davanti uno degli assassini dei suoi genitori. Non c'era pietà né perdono nei suoi occhi. Solo vendetta.
Tirò in piedi con violenza il killer e lo colpì con un'altro pugno al viso; con il tirapugni; sentì uno scricchiolio sotto le sue nocche, e l'uomo crollò a terra in una piccola esplosione di sangue; l'uomo crollò a terra, e sputò sangue, assieme ad un paio di denti; la sua bocca era spaccata, ma riuscì comunque a chiedere:- Chi sei?

- La vendetta!- ringhiò Mark, e lo tirò di nuovo in piedi.

I successivi pochi minuti furono come un incubo per Hunt: quel ragazzo era molto meno muscoloso di lui, ma sapeva combattere, e oltretutto pareva posseduto dal demonio; tutti i disperati tentativi del killer per difendersi furono vani, e si trovò a subire il più crudele pestaggio della sua vita.
Alla fine, dopo aver ricevuto una quantità di colpi mostruosa, incluso uno che gli aveva fatto sfondare il frigorifero, Hunt crollò al suolo senza forze. Si sentiva mezzo morto: le costole gli dolevano tremendamente, doveva avere un paio spezzate; sentiva un dolore tremendo al fianco, come se la milza fosse andata in purè. Non riusciva ad alzare il braccio destro, e la sua faccia era ridotta ad una maschera di sangue, con un occhio chiuso, il naso rotto, il mento aperto dal tirapugni e almeno sei denti mancanti.
Finalmente il ragazzo sembrava essersi calmato, ma la vena folle nei suoi occhi era rimasta.
Mark era ancora furioso; il pestaggio non era stato sufficiente a placare la sua sete di vendetta; non aveva neanche pensato ad usare la pistola che aveva preso al killer, sarebbe stato troppo facile; ormai però sapeva che era arrivato il momento di consegnarlo alla polizia. Prima però aveva un'altra cosa da fare.
Afferrò il killer per il bavero della camicia insanguinata e lo schiacciò contro il muro; poi, con voce crudele, quasi inebriato dalla paura che leggeva nei suoi occhi, ringhiò:- E adesso ascoltami bene, stronzo, perché non lo ripeterò. Ti conviene rispondere alle mie domande, perché altrimenti quello che ti ho fatto finora sembrerà uno scherzo in confronto a quello che ti farò! Capito?
Hunt annuì stancamente con un cenno della testa.
- Bene.- sibilò Mark, poi proseguì:- Ti ricordi, circa cinque anni fa, di uno scontro fra bande nella 32° strada? Quattro uomini in macchina ne uccisero cinque a piedi, tre criminali e due passanti. Tu eri con quelli nella macchina, vero? Te lo ricordi?
Il killer rimase silenzioso alcuni secondi, poi annuì di nuovo.
- Bravo.- ringhiò Mark,- E ora la domanda seria: due di quei bastardi sono già morti; il terzo sei tu; voglio sapere chi era il quarto! Avanti, parla! Chi c'era con te?!
Hunt sembrò faticare a parlare, poi riuscì a dire, con voce alterata per le ferite alla bocca:- No...
- Come?
- Non...non te lo posso dire. Quello è uno...pericoloso. Ho lavorato...altre volte con lui. Se...se parlo è capace di ammazzarmi...
- IO SONO PERICOLOSO!!!- urlò Mark, sbattendo la testa di Hunt contro il muro; poi estrasse dalla tasca il revolver che aveva preso dal tavolino e glielo puntò alla testa ruggendo:- Avevo deciso di farti arrestare, ma potrei non farlo! Tira fuori quel nome o ti pianto una palla in testa!
- Ma...perché ti interessa tanto? Perché ce l'hai con noi?
- Perché quei due passanti che avete ammazzato come cani erano i miei genitori!- sibilò con voce spiritata Mark,- Ora tira fuori quel nome o ti faccio a pezzi con le mie mani!
Hunt vide una vena di pazzia negli occhi del ragazzo, e tra un pericolo futuro e quello immediato scelse di salvare la pelle in pericolo:- Non... non so il suo vero nome. Non me l'ha mai detto. Però... però si faceva chiamare... si faceva chiamare...
- TIRA FUORI QUEL NOME O TI BRUCIO VIVO!
- JACKAL!
Fu come se a Mark avessero dato una martellata in testa: non era possibile che fosse lui!
- Si... si faceva chiamare Jackal... ed aveva un accento italiano. Era lui che comandava quella sera. Giuro, non so altro!
Mark lo lasciò cadere a terra; la furia nei suoi occhi era stata sostituita dallo stupore più totale. Proprio lui... di tanti assassini prezzolati, proprio di lui doveva trattarsi... Per un istante ebbe paura, e quasi desiderò di non aver saputo quel nome.
Vedendolo distratto, Hunt pensò di approfittarne. Cercò di sgattaiolare nell'ingresso per prendere la pistola. Un istante dopo un calcio lo colpì tra il collo e la spalla destra, e la luce si spense.
Quando si svegliò era in ospedale, piantonato da tre poliziotti.

Il commissario Hamerick posò gli incartamenti che aveva in mano sulla sua scrivania e si appoggiò allo schienale della sedia, reclinando la testa. In quaranta anni ne aveva visti di casi insoliti, ma quello era uno dei più strani: un uomo massacrato di botte scaricato davanti al commissariato, con al collo un cartello con scritto: "Leigh Hunt, assassino".
E la cosa incredibile era che erano state sufficienti poche indagini per scoprire che quel tipo era veramente un killer prezzolato, ricercato per innumerevoli omicidi. Ma chi poteva averlo conciato in quella maniera?
Bussarono alla porta.
- Avanti.- borbottò il commissario.
La porta si aprì, ed un giovane poliziotto in divisa entrò nell'ufficio:- Scusi se la disturbo, commissario, ma abbiamo novità sul caso Hunt.
- Prego, Wayne. Dimmi pure.
- Beh, siamo stati a casa sua. Lo hanno pestato di sicuro lì, ma non abbiamo trovato tracce significative che ci possano far risalire al colpevole. Però c'è una cosa molto strana...
- Cosa?
- Hunt ci aveva fatto un mezzo inventario delle armi che teneva in casa. Avremmo dovuto trovare sei fucili, nove armi automatiche, quindici fra pistole e revolver, molte munizioni e cinquanta chili di esplosivo assortito con detonatori. In effetti abbiamo trovato un mezzo arsenale, ma facendo un controllo abbiamo scoperto che mancavano all'appello due mitra, tre pistole, molte munizioni e cinque o sei chili di esplosivo con i detonatori. Deve averli presi per forza quello che lo aveva pestato.
- Mmmmh...- mormorò il commissario,- Strano. Chissà perché ha preso solo alcune armi e non tutte... cosa vorrà farne? Sembra quasi che volesse procurarsi un piccolo arsenale...
Quel vecchio commissario non aveva idea di quanto era andato vicino alla verità
Decise comunque di uscire e andarsi a prendere un caffè, dunque prese la volante di servizio per poi successivamente dirigersi allo Starbucks più vicino. Inserita la chiave, il rombante motore della Toyota d’ordinanza si fece sentire per tutto il vicinato, quindi inserì la prima e a passo d’uomo si diresse verso la caffetteria.
Distava solamente a pochi isolati dal commissariato, eppure per quelle stradine a quell’ora vi era sempre un traffico da record, che quasi neppure durante gli esodi estivi per le vacanze si registrava. Dopo pochi minuti scese dalla macchina, parcheggiata a pochi metri dalla caffetteria, dunque entrò al suo interno e sedendosi al bancone ordinò un latte macchiato con cioccolata a velo. Odiava il caffè, però le altre bevande proposte da Starbucks non erano niente male.
Contemporaneamente, pochi tavoli dietro di lui, ad un tavolo erano seduti due uomini, entrambi sulla trentina d’anni, che animatamente discutevano su come gli Yankees avessero potuto perdere una partita che sembrava talmente facile che chiunque sarebbe riuscito a vincere.
- Ti dico di no, Cano è uno che ha una media di 339, come cazzo ha fatto a sbagliare quelle due battute per una scommessa persa con Green?
- Te lo dico io invece, Green e Cano avevano fatto una scommessa di cui non si sanno altre peculiarità, e visto che Cano l’ha persa allora è stato costretto a pagare pegno abbassando la sua media in battuta!
- Ma non ha senso!
- Ti dico di si, invece… ti sei chiesto perché, allora, gli Yankees li hanno messi entrambi in punizione a fare allenamento differenziato rispetto al resto della squadra?
- Si, ma che spreco… uno dei più forti giocatori della MLB rovinato così per una scommessa…
- Anche una vita può essere rovinata per una scommessa…
- Cosa intendi?
- Sai com’è… a volte perdi una scommessa e ti ritrovi a pagar pegno… zucchero nel caffè?
- Si grazie.
- Ci sono molte storie di vite rovinate.. ne vuoi sentire una?
L’ascoltatore annuì, perciò colui che si stava apprestando a raccontare la storia arricciò il naso per poi accavallare le gambe, prima di iniziare il racconto. Nello stesso istante, l’altro versò l’intero contenuto della bustina di zucchero nel suo caffè, per poi girarlo compulsivamente, totalmente accattivato dalle parole del suo interlocutore.
- Allora, iniziamo… c’erano una volta un gruppo di delinquenti, un po’ goliardi, riunitisi per caso nelle vie più nascoste della Los Angeles di lusso… costoro, un giorno, per poter fare in modo da far guadagnare alla famiglia locale un lotto di terreno maggiore su cui comandare, decisero di fare un attacco suicida ad un gruppo rivale… l’attacco non andò a buon fine, la loro famiglia perdette quasi tutto il potere precedentemente accumulato, e i pochi sopravvissuti furono presi a lavorare alle dipendenze di coloro che furono attaccati; con l’unica differenza che dovettero fare i lavori più sporchi; gratis.
Ebbene, tra i loro primi compiti ci fu quello di riscuotere del denaro da un accanito scommettitore; sai, quei padri di famiglia con moglie e figli che tentano in tutti i modi di arrotondare lo stipendio…

Annuì

- Beh, i suoi debiti erano incominciati a salire, salire, salire, fino a quando il gruzzolo che doveva non diventò veramente troppo elevato per poter passare inosservato, perciò furono mandati i pochi superstiti rimasti a riscuotere, con la differenza che a loro fu aggiunto un professionista, uno nel giro da anni, per potersi così assicurare che tutto filasse liscio.
Beh, il lavoro andò a meraviglia, quasi non ci furono problemi, se non per il fatto che oltre al cazzone morirono anche i vicini di casa, una coppietta di quelle che rappresentano la perfetta famiglia americana... purtroppo, questo imprevisto sembra stia costando molto ai superstiti, infatti uno dei suoi figli per anni ha covato dentro di se un enorme spirito di vendetta, ed ora si è messo a ricercare tutti i carnefici, scovandoli e mandandoli o al creatore o alla polizia. Tutti tranne uno.
- Il professionista?
- Naturalmente.
- Sembra la storia di un film!
- Ti piacciono i film?
- Beh, questi thriller con una trama così contorta mi appassionano sempre!
- Allora, sicuramente, avrai visto Slevin… non ti ricorda un po’ Slevin questa storia?
- Uhm… esclusa la storia dello scommettitore, non mi ricorda per nulla il film… solamente il dialogo tra Willis e Nick Fisher all’inizio potrebbe essere paragonato a quello tra noi due, ma andiamo, lì uno dei due moriva, e poi c’era la Oklahoma moves, quella là, come si chiamava…
- Mossa Kansas City
- Esattamente, quella là!
- Saprai quindi che la mossa Kansas City presuppone sempre che ci sia un morto.
- Me lo ricordo il film… ma aspetta amico… cosa stai cercando di dirmi?

L’ascoltatore iniziò a sudare freddo, la sua mano tremava dal nervosismo e per poco non rovesciò il caffè sul tavolino; per evitare che accadesse un simile incidente, decise d trangugiarlo tutto d’un sorso, accompagnando il tutto con una smorfia di disappunto, dettata ormai dal sapore tiepido che la bevanda aveva assunto, perdendo dunque il suo aroma. Finito questo siparietto, il narratore riprese a parlare.

- Intendo dirti che io sono il professionista, e sto per essere vittima della mossa Kansas City da parte del figlio vendicativo. Tu, però, sei il morto. Ti ricordi la famiglia che assoldò un professionista nel racconto? Beh, sta cercando di sistemare altri suoi debitori, quelli particolarmente recidivi, che fuggono invece di pagare. Mi hanno fornito addirittura di una bustina di zucchero di canapa con dentro del veleno semi-istantaneo. Era buono, vero? Ah, comunque mi dispiace dirtelo, ma non ho spicci. Paghi tu, vero?
- …
- Amo gli uomini di poche parole…

L’uomo prese il suo elegante spolverino nero e se lo appoggiò sulle spalle per poi uscire dal bar, lasciando il suo interlocutore con il volto assente a fissare nel vuoto.
L’assassino estrasse dalla tasca della sua giacca le chiavi di una Alfa Romeo grigio metallizzato, quasi certamente la sua macchina, e con un clic la aprì per poi salirci sopra e dirigersi verso una meta sconosciuta.


L'inverno di New York tingeva di bianco il cimitero. L'edera che in estate copriva le tombe era scomparsa, e al suo posto una sottile coltre di neve quasi nascondeva i nomi dei defunti.
Accanto ad una delle tombe, una di quelle doppie, per le coppie destinate a restare assieme anche dopo la morte, un ragazzo, dopo aver posato un mazzo di fiori sul marmo, fissava il vuoto, apparentemente intento a pensare.
Mark non era ancora riuscito a metabolizzare quello che quel killer gli aveva detto: di tanti maledetti assassini prezzolati, proprio lui... proprio Jackal doveva essere stato. I suoi occhi guizzavano sui nomi dei suoi genitori, ed il pensiero che l'uomo che li aveva uccisi fosse quello stesso Jackal che aveva visto mille volte combattere nelle arene gli faceva ribollire il sangue.
Ma non era solo rabbia. C'era anche qualcos'altro, un sentimento che non ricordava di aver mai provato.
Paura. Vera paura. Di un uomo che sapeva freddo come il ghiaccio. Il solo pensiero che per portare a termine quella vendetta che si era sempre promesso avrebbe dovuto affrontare Jackal gli faceva raggelare il sangue. Non sapeva veramente dove trovare il coraggio per fare ciò che aveva promesso a se stesso.
Erano cinque anni che si prometteva la stessa cosa; non lo aveva mai detto a nessuno; né a sua nonna, né ai suoi fratelli, a nessuno. Si era promesso di mandare all'inferno tutti quei bastardi che lo avevano reso un orfano. Aveva cercato per due anni interi prima di trovare Hunt, passando ore nelle peggiori bettole di New York, a parlare con la feccia della città in cerca di informazioni. E ora, che finalmente sapeva il nome dell'ultimo uomo che lo separava dal compimento della sua vendetta, tremava come una foglia al solo pensiero di ciò che quel nome rappresentava.
Eppure...
Eppure aveva preso quelle armi. Sconvolto, terrorizzato, ma aveva preso le armi di Hunt. Per usarle.
Sapeva sparare abbastanza bene. Non era un killer, ma sapeva usare un fucile e una pistola, e anche mettere una bomba, se necessario. E soprattutto, lo voleva. Voleva sentire l'odore del sangue di Jackal. Vederlo soffrire come un cane davanti ai suoi occhi. Vederlo morire come i suoi genitori.
Sentì la paura lasciare il posto ad un furore incontrollabile: strinse i pugni fino a farsi sbiancare le nocche e a farsi sanguinare i palmi delle mani. Poi mormorò, con voce quasi da posseduto:
- Lo farò per voi. Mi hai sentito, mamma? E anche tu, papà...lo farò per voi. Lo ucciderò. Vi vendicherò, dovesse essere l'ultima cosa che faccio!
Alzò gli occhi al cielo, mentre le lacrime rigavano le sue guance. Quanto era che non piangeva in quel modo? Non lo ricordava più, e in quel momento non gli interessava. Con tutta la voce che aveva urlò alle scure nubi del cielo invernale:
- Mi senti, Sciacallo? Ovunque tu sia, io ti strapperò il cuore e lo vedrò smettere di battere nella mia mano! Ti farò a pezzi! Avrò la mia vendetta, a costo di morire!
Un tuono risuonò nel cielo. Presto avrebbe nevicato di nuovo, ma Mark lo prese come una risposta. Come se il cielo gli stesse dicendo che il suo avversario accettava la sfida.
- Sia.- mormorò quasi stremato, abbassando un'ultima volta gli occhi sulla tomba, prima di andarsene:
- Ce la farò, a costo portarlo fino all'inferno a calci. Lo ammazzerò con le mie mani…
E se ne andò, lasciandosi alle spalle i suoi peggiori ricordi, ma non il suo giuramento.
Uscendo dal cimitero, sentì gracchiare alla sua destra il cigolante cancello; su di esso sovrastava la ruggine, erano anni che necessitava di qualche opera di manutenzione, ma il comune sembrava disinteressarsene totalmente. Fece qualche passo lungo il viale, quindi fermò un taxi per dirigersi poi verso casa.

Click!
Il rumore di una macchina fotografica lacerava il silenzio nell’abitacolo. Un suono metallico, fastidioso, che in quella calma apparente riusciva a dare sui nervi anche al migliore dei professionisti. La Nikon che immortalava quei momenti era uno strumento di precisione giapponese, una delle ultime tecnologie, eppure il tipico rumore di quegli aggeggi rimaneva ed anzi, in questo modello era più accentuato del solito. “Bene… ora so che volto hai…” pensò il conducente. Assicuratosi che il taxi fosse a debita distanza, mise in moto il suo veicolo per poi dirigersi lungo la strada a velocità piuttosto blanda, fermandosi addirittura quando il semaforo fosse arancione oltre che per far passare chiunque in prossimità delle strisce. Un automobilista modello.
C’era da chiedersi perché allora si stesse dirigendo in una delle più malfamate zone della città, quella del pub del Guercio. L’arcano si risolse una volta parcheggiata la vettura, che subito dopo, appena si spalancò la portiera, ci mostrò che si trattava di Jackal.
Il killer con innaturale tranquillità chiuse la macchina, noncurante dei pericoli che corresse a lasciarla così ben in vista, anche se a dire il vero poi sarebbe dovuto essere più preoccupato chi solo avesse provato a rubarla nel subire la vendetta dello Sciacallo.
Con tranquillità Jackal aprì la porta del locale; le luci calde e soffuse davano all’aria un colore marroncino, sui polverosi muri si aveva quasi un’idea di unto, paragonabile a quella delle cucine dei ristoranti cinesi, mentre per un qualunque mortale l’unica parola per descrivere il bancone era “degradazione”, in quanto la quantità di feccia lì appoggiata si sprecava. Appena Jackal mosse un paio di passi, in direzione di un tavolo a lui prenotato in fondo a sinistra, nella bettola calò il silenzio, e solamente un paio di ubriaconi irlandesi continuarono ad intonare cori relativi al loro patriottismo.
Ben presto si avvicinò al nuovo cliente la cameriera del locale; a vederla da circa 3 metri sembrava una bella donna, ma appena arrivò in prossimità dello Sciacallo i particolari del suo viso balzarono all’occhio, mostrandoci una donna dalla vita bruciata, segnata dalle malattie, probabilmente portate da uno stile di vita sregolato condotto tra prostituzione, alcol e droghe.
- Cosa le porto?
- Vorrei parlare col proprietario.
- Lei è il signor Tomaselli, giusto?
- La prego, non mi chiami col mio nome. Usi uno pseudonimo, uno qualunque, ma non mi chiami col mio nome.
La donna sembrò restare interdetta. Sebbene lei non lo sapesse, attorno al killer aleggiava un’aura di morte ed un odore del sangue che persino uno sprovveduto si sarebbe reso conto che era meglio non contraddirlo.
La cameriera si limitò a far cenno di si con la testa, rimise perciò sensualmente il blocchetto per prendere le ordinazioni in una tasca della sua camicia all’altezza del seno, procacemente mostrato da una generosa scollatura, dunque con passo andante si diresse in una stanza presente dietro il bancone.
Passarono pochi secondi e dalla stessa porta uscì un uomo corpulento, con capelli brizzolati e una vistosa cicatrice appena sotto l’occhio destro; il suo aspetto era decisamente avanti con gli anni, numerose rughe lo segnavano e ad ogni passo che muoveva nell’aere circolava un odore nauseante di gin.
Si sedette ben presto al tavolo dello Sciacallo, che nonostante la nauseabonda essenza rimase impassibile, in attesa che quello che sembrava essere il Guercio aprisse bocca per parlare.
- …
- Beh? 2 anni che non passi da queste parti e neppure mi saluti?
- Ho bisogno di tue informazioni.
- Come sai, ti costeranno care…
Jackal estrasse dal taschino interno della sua elegante giacca la sua Nikon digitale, e la porse al suo informatore.
- Dimmi tutto ciò che sai su quest’uomo.
- Uhm… l’ho sicuramente visto in giro, ma mai nel mio locale… se vuoi sapere qualcosa su di lui, sono 50000 $.
Lo Sciacallo mise mano al portafogli, ed estrasse un mazzo di banconote piuttosto corposo.
- Sono 70000, tieni il resto. In cambio, sii il più dettagliato possibile.
- Si chiama Mark Harrison. Lotta in federazioni di wrestling semi-sconosciute, ma ultimamente ha firmato con la WBFF; anche tu sei li, sicuramente dovresti averlo incrociato nei corridoi qualche volta.
- Mi presento solo per la registrazione dei tapings, non conosco nemmeno chi lavora nel mio stesso brand a momenti.
- Ehm… in termini che anch’io posso capire?
- Non lo conosco.
- Ah… comunque, dicevo, so che da piccolo gli furono assassinati i genitori, e ora è in cerca di vendetta. Ha già scovato tutti gli assalitori, manchi solo tu.
- Non ho ucciso io i suoi genitori. Chi gli ha dato questa notizia?
Mentre il Guercio riprese a parlare, dopo pochi attimi farfugliò qualcosa di incomprensibile, in quanto Jackal gli puntò la canna della sua automatica con silenziatore all’altezza del ginocchio, uno dei punti più dolorosi dove poter essere colpiti.
- Aspetta… Ricky… non gliel’ho detto io…
- Però te lo sai… e sai anche che a me non fa piacere circolino voci sul mio conto… e se circolano, o è a causa tua, o a causa di un superstite… perciò, dimmi: sei stato tu, o un superstite?
- E’-E’-è st-stato Hunt!
- Capisco… grazie comunque delle informazioni… discreta serata.
Jackal si alzò e si avviò verso l’uscita del locale. Il Guercio rimase a sedere ancora un po’ al tavolo, la sua fronte grondava sudore da quasi un minuto, mentre i suoi polmoni avevano dato via ad un fiatone nervoso degno di quello di un ciclista dopo una salita. La sua t-shirt bianca era madida di sudore, che se sommato al suo tanfo dovuto all’alcol non facevano di lui certamente una bella presenza. Nonostante tutto, dopo pochi secondi, un ragazzo si sedette al suo stesso tavolo.
- Bel lavoro… so che ti ha pagato 70000 $, ho osservato la scena da lì, perciò io te ne devo solo 10000 $, e non provare a protestare… sia io che lui potremmo tagliarti fuori in un istante… ora non resta altro che concludere tutto…
- Ragazzo… non metterti contro di lui, è un pesce troppo grosso per te.
Il giovane annuì, e un fascio di luce proveniente da una delle scarne lampade presenti nel locale ci mostrò che si trattava di Mark. Senza ulteriori gesti o indugi, Mark uscì dal locale, non prima però di aver indossato una coppola che gli tenesse seminascosti gli occhi ed essersi alzato il colletto del cappotto. Si diresse verso una cabina telefonica, perciò estrasse dalla tasca un foglio di carta e inserendo una scheda iniziò a telefonare.
- Tu… tu… pronto?
- L’elegante?
- Si sono io… vedo che conosci la terminologia per contattarmi… cosa vuoi e cosa devo fare?
- Un tizio dormirà coi pesci… Il predatore otterrà 10 premi…
- Interessante… la preda chi è?
- Ray Codered. Un mio uomo fidato dell’Oklahoma. Ti pagherà lui la somma, dopodichè tu lo saluterai con un addio. Sai, si è scopato mia figlia senza il mio permesso, non posso tollerarlo.
- Capisco. Posso sapere per chi lavoro?
- Famiglia Anello, New Orleans. L’uomo ti aspetterà al porto in prossimità dei dock posti a est il 13-02. Non si farà vivo a meno che tu non ti presenti con una Ford Fiesta nera, quindi procuratene una.
- Ricevuto. Distinti saluti.
- Buon lavoro.
Tlack.
Sorridente, Mark si guardò attorno. Gran parte del suo piano era andata a termine, ora mancava solo l’atto finale, il compimento della vendetta.

Mark iniziava a sentirsi le giunture rigide. Erano almeno due ore che se ne stava nascosto nello stesso posto, nella zona del porto, dietro un cassonetto della spazzatura. Il freddo, nella notte di New York, era pungente, ma lui lo avvertiva a stento. Nelle sue vene l'adrenalina scorreva a fiumi, tanto da non fargli sentire, oltre al freddo, la stanchezza... e la paura.
L'idea di essere lì per niente, il pensiero che il suo piano potesse non funzionare, non lo sfiorava neppure; erano due giorni che non si faceva vedere a casa; aveva chiamato i suoi fratelli per dire loro di non preoccuparsi se non lo avessero visto per un po', aveva preso una settimana di ferie al porto, e si era installato in un vecchio dock abbandonato. Lì aveva dato il via al suo piano, quello che doveva avere come conclusione la morte di Jackal.
Era un dilettante, ma era ugualmente riuscito, in trentasei ore di lavoro pressoché ininterrotto, a montare una bomba. Cinquanta chili di esplosivo militare C-8 e un detonatore collegato alla meglio, in modo che potesse farla esplodere a distanza. Poi la telefonata al killer, da una cabina; per quanto potesse essere furbo, persino allo Sciacallo si bloccava il sesto senso davanti a 10 milioni di dollari. Tanto gli aveva fatto credere di volerlo pagare per un omicidio. Non c'era voluto molto a convincerlo ad incontrare il suo nuovo datore di lavoro al porto per suggellare l'affare.
Mancavano solo pochi minuti. Jackal aveva detto che sarebbe venuto con una Ford nera; la mano sudata di Mark stringeva convulsamente il comando a distanza del detonatore; non aveva paura, non aveva dubbi; voleva vedere il cadavere di quel bastardo bruciare nella carcassa dilaniata della sua auto. E non ne avrebbe provato rimorso. Solo una grande gioia. La soddisfazione di chi corona un sogno.
Era giusto quello che stava facendo? Uccidere a sangue freddo un assassino? In effetti, forse no. Ma non gli importava. Aveva deciso che doveva morire, che il suo sangue doveva placare la sua sete di vendetta, e così sarebbe stato. Occhio per occhio, morte per morte.
E allora perché non aveva detto nulla ai suoi fratelli, se era tanto convinto di ciò che stava facendo? Forse per non vedere l'orrore e la paura dipinti nei loro occhi, per non sentirsi chiedere se era sicuro di ciò che stava facendo.
I fari di una macchina illuminarono il vicolo davanti al cassonetto; nella luce giallastra riconobbe la sagoma di una grossa macchina nera; scendeva lungo la strada lentamente, a circa cinquanta metri da lui; e a quindici dal punto dove aveva piazzato la bomba; Mark voltò la testa a destra, e fissò per un istante il fucile automatico Lee Enfield XL70E3 dell'esercito britannico che aveva rubato a Hunt e che si era portato dietro, poi sfilò dalla cintura una rivoltella Browning GP 35, tolse la sicura e la poggiò accanto a se; tra pistola e fucile aveva oltre trenta colpi da sparare, ma probabilmente non gliene sarebbe servito neanche uno.
Fu un lampo: la macchina fu accanto alla bomba, e il suo dito, senza che se ne accorgesse neppure, si contrasse sul pulsante del comando a distanza.
Una fiammata dilaniò la notte: i muri delle case tra le quali passava il vicolo furono sventrati, la Ford nera fu sbalzata in aria in una tempesta di fuoco e cadde a terra rovesciata, atterrando sul tettuccio, avvolta dalle fiamme.
Esaltato, Mark balzò in piedi; la sua vendetta era compiuta, il maledetto Sciacallo era morto; una soddisfazione incredibile invase ogni parte del suo corpo; questo durò un paio di secondi, poi vide che l'abitacolo dell'auto era vuoto; non c'era nessun cadavere dilaniato al volante.
In un istante capì: aveva sottovalutato quel figlio di puttana; era peggio di un animale: fiutava il pericolo, ed aveva sentito l'odore di una trappola; perciò era sceso, aveva bloccato lo stramaledetto sterzo e l'acceleratore ed aveva mandato avanti la macchina, per far scattare qualunque trappola ci fosse; e lui c'era cascato come un idiota.
Prima che potesse anche solo iniziare ad imprecare vide una sagoma muoversi nell'oscurità; non ebbe bisogno di vedere la sua faccia: bastò l'istinto per dirgli che quello era Jackal; con la velocità di un cobra afferrò il fucile, lo portò alla spalla e premette il grilletto.
Per sua sfortuna lui non era mai stato neanche nell'esercito, mentre Jackal era un professionista: prima si gettò al riparo, lasciando che il ragazzo scaricasse tutto il caricatore dell'arma contro un muro, poi tirò fuori qualcosa dalla tasca e la lanciò davanti a se.
Fu come se la nebbia fosse calata di colpo: una coltre di fumo acre si levò nel vicolo, nascondendo il killer e arrivando fino a Mark. Un fumogeno di quelli potenti. Lo Sciacallo stava scappando. Il ragazzo afferrò la pistola e sparò tutti e tredici i colpi, uno dopo l'altro, alla cieca nel fumo, ma già sapeva che non sarebbe servito a nulla; ebbe la conferma circa un minuto dopo, quando il fumo si diradò: Jackal era scomparso.
Mark si sentì montare la rabbia alla testa: era andato tutto storto, ed ora la preda sapeva di avere un cacciatore alle calcagna. Tutto diventava più difficile.
- Non importa.- mormorò Mark, raccogliendo il fucile; doveva filare alla svelta, prima che arrivasse la polizia, ma prima di fuggire urlò alla notte, con voce spiritata:
- Oggi hai avuto fortuna, Jackal. Ma la prossima volta non andrà così. Io ti vedrò morto, bastardo!

E scomparve nella notte.

Una coltre di nebbia, nel frattempo, si abbatté sul porto, ed unita al precedente fumogeno non ci volle molto a rendere la visibilità nettamente precaria. Mark si lasciò sfuggire un’imprecazione, come se non bastasse non solo non era riuscito a portare a termine il suo piano, inoltre ora anche il clima gli si metteva contro, obbligandolo a guidare l’auto precedentemente noleggiata a una velocità inferiore a quanto sperava.
Avanzò a tentoni lungo il muro di un dock, l’ultimo prima di arrivare a una delle uscite del porto, che si affacciava all’esterno su un vasto piazzale ove erano parcheggiati alcuni pick up e altrettanti furgoni, oltre che l’utilitaria di Harrison.
Nella foschia, Mark non si rese conto che di fianco a lui, all’uscita, un uomo con sopra un lungo spolverino nero lo stava osservando. Aveva entrambe le mani in tasca e il colletto del cappotto abbinato ad una pregiata sciarpa di cashmere gli coprivano parzialmente il volto, rendendolo irriconoscibile col clima presente.
Improvvisamente, tirò fuori dalla tasca la sua mano destra, dapprima chiusa a pugno, quindi successivamente inarcò l’indice e il pollice puntandoli verso Mark, girato di schiena.
“Bang!”, disse sottovoce.
Harrison non si accorse di nulla, entrò nella sua vettura e sconsolato tornò a casa, prima che le volanti potessero arrivare ed intervenire contro di lui per quanto accaduto.
Sul volto del tizio, invece, prese il sopravvento un sorriso, che venne ostentato solo successivamente che la bocca venne scoperta dalla sciarpa color bordeaux.
“Harrison, hai carattere e coraggio… però hai a che fare con un professionista, non con una mezza tacca come quelli che hai già tolto di mezzo… per il momento ti lascerò scorazzare un altro po’, potresti farmi comodo…”
Un lussuoso portachiavi della Alfa Romeo venne estratto dalla tasca dello spolverino, dunque venne aperta una sopraccitata vettura che venne poi messa in moto nella nebbia circostante.
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Spot valido per Jackal & Mark Harrison per The People's Choice.

Buona lettura e non linciateci per la lunghezza [SM=g27828]
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Re:

Scritto da: HHHThegame 14/02/2007 20.09
Spot valido per Jackal & Mark Harrison per The People's Choice.

Buona lettura e non linciateci per la lunghezza [SM=g27828]




[SM=g27833]
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Lo abbiamo fatto in collaborazione io e Dibbio...tre parti ciascuno. La prima io, la seconda lui, la terza io, la quarta lui, la quinta io e il finale lui.
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Re:

Scritto da: =Marco89= 14/02/2007 20.57
Lo abbiamo fatto in collaborazione io e Dibbio...tre parti ciascuno. La prima io, la seconda lui, la terza io, la quarta lui, la quinta io e il finale lui.



Why?
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Re: Re:

Scritto da: DX rulez 14/02/2007 20.59


Why?



Come why? E' un'idea che ci è venuta. Sfruttare lo stile di Jackal e il passato di Harrison per mettere assieme qualcosa di fatto bene. Potete considerarli due spot condensati in uno e montati a fare una specie di storia...
14/02/2007 21:06
 
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Ma voi due mica taggate. Non credo sia a norma.
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Re:

Scritto da: MeltdownMachine 14/02/2007 21.06
Ma voi due mica taggate. Non credo sia a norma.



Infatti non è fatto come quello di un tag team. Noi non siamo assieme, siamo uno contro l'altro. Potevamo mettere due spot separati, l'abbiamo messo assieme solo perché così veniva meglio. Non mi direte che è un problema...
14/02/2007 21:16
 
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Re: Re:

Scritto da: =Marco89= 14/02/2007 21.10


Infatti non è fatto come quello di un tag team. Noi non siamo assieme, siamo uno contro l'altro. Potevamo mettere due spot separati, l'abbiamo messo assieme solo perché così veniva meglio. Non mi direte che è un problema...



Visto che han fatto un pò di tempo fa cazzi a Lorè perchè lui aveva spottato per il TE con solo LT in un TAG match di due SUOI personaggi, sarebbe strano non farlo adesso, più che altro.

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Re: Re: Re:

Scritto da: MeltdownMachine 14/02/2007 21.16


Visto che han fatto un pò di tempo fa cazzi a Lorè perchè lui aveva spottato per il TE con solo LT in un TAG match di due SUOI personaggi, sarebbe strano non farlo adesso, più che altro.




Appunto per questo la cosa mi sembra piuttosto diversa...I nostri sono due personaggi distinti; abbiamo accorpato gli spot solo per esigenze di continuità e perché così il lavoro veniva meglio. In pratica però abbiamo lavorato tutti e due e spottato tutti e due per entrambi i personaggi...non credo che ci siano problemi.
14/02/2007 21:22
 
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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: =Marco89= 14/02/2007 21.20


Appunto per questo la cosa mi sembra piuttosto diversa...I nostri sono due personaggi distinti; abbiamo accorpato gli spot solo per esigenze di continuità e perché così il lavoro veniva meglio. In pratica però abbiamo lavorato tutti e due e spottato tutti e due per entrambi i personaggi...non credo che ci siano problemi.



Boh, non so, io manco l'ho letto lo spot, lo farò quando prenderò le ferie, comunque io non ho alcuna autorità in materia, vediamo che ne dirà Big Face [SM=x1183765]
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Re: Re: Re:

Scritto da: MeltdownMachine 14/02/2007 21.16


Visto che han fatto un pò di tempo fa cazzi a Lorè perchè lui aveva spottato per il TE con solo LT in un TAG match di due SUOI personaggi, sarebbe strano non farlo adesso, più che altro.



Ma questo invece è esattamente il contrario... io dividerei il voto in due [SM=x1183764] [SM=x1183764] [SM=x1183764]
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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Goroshi 14/02/2007 21.38

Ma questo invece è esattamente il contrario... io dividerei il voto in due [SM=x1183764] [SM=x1183764] [SM=x1183764]



[SM=x1183787] [SM=x1183787] [SM=x1183787] [SM=x1183787] [SM=x1183787] [SM=x1183787]
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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Goroshi 14/02/200721.38

Ma questo invece è esattamente il contrario... io dividerei il voto in due [SM=x1183764] [SM=x1183764] [SM=x1183764]



Non te lo sognare neanche. Abbiamo fatto uno spot mostruoso, ognuno di noi ha lavorato per due!!! Ci abbiamo messo quasi dieci giorni a farlo!!!!!! Cavolo, dite almeno che ne pensate!!!!!!!!!
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dunque, qui si passa all'analisi dei casi precedenti.
The LT in passato fece un lavoro del genere e venne gravemente penalizzato, tuttavia in seguito fecero lo stesso Brock Johnson e Crystal Houghton che erano in due match differenti. C'era di mezzo proprio Robert Dumas, il cui handler max-30 mi ha pregato di tenere valido lo spot e non penalizzarlo perché voleva confrontarsi al massimo livello.

In quella occasione, fu importantissima l'opinione dell'avversario, io dico che qui dovrà decidere max se ritenerlo valido al 100%.

Però, il problema è nella questione del match che avrà Harrison (presumo contro Stivi, ma il voto è ancora aperto). Stivi è di una categoria leggermente inferiore, detiene un titolo al pari di Iron Man e Survival, che sarebbe il Deadly Shiver Title, in passato addirittura un titolo pari al King Of Fight.
Credo che sia una sfida troppo dura per un handler battersi con un avversario alla pari con lui che spotta assieme al miglior handler della WBFF.
Non so, qui vorrei sapere l'opinione del diretto interessato. Vorrei però sincerità nella risposta di Stivi, non l'umiltà sportiva che in qualche modo costringe a rispondere sempre sì.

Una cosa è certa: si capisce chiaramente che la quantità di lavoro per questo spot è incredibile, qui saranno andati avanti almeno 3 ore per fare tutto ed assemblarlo correttamente. Non voglio gettarlo via, se viene rifiutato piuttosto sarà tenuto valido per un ppv in cui i due faranno team, non si può gettare al vento un lavoro di questo tipo.
edit: il voto non si dividerà mai in due, un 10 diventa 5 e 5. [SM=g27828]

PS: una soluzione è quella del valutare le singole parti visto che è stata spiegata la suddivisione.
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