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La Fenice del Bronx

Ultimo Aggiornamento: 13/06/2011 02:26
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12/06/2011 19:35
 
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New York, United States of America.
Un taxi sta attraversando le vie più malfamante della città.
Lui non era abituato a prendere un taxi, ma era praticamente costretto a farlo in quell'occasione.
Doveva arrivare il prima possibile lì, e dato che non aveva auto aveva sacrificato una delle sue più grandi ritrosie.
Purtroppo beccò uno di quei tassisti che vogliono parlare.

"Ehi ma tu sei..."
"Non sono nessuno."
"No, aspetta, ti conosco..."
"Impossibile"
"Ma sì, dai... Tu sei quello del wrestling... Ehiii ma è davvero tutto finto come tutti dicono?"
"Fermami qui."
"Ma..."

Jax uscì dal taxi, stranamente dopo aver pagato.
Per fortuna l'ospedale non era tanto distante da lì.
Avrebbe fatto una passeggiata per rivedere i vecchi luoghi d'infanzia.
La situazione non gli sembrava esser cambiata per niente: spazzatura ovunuqe, sempre brutte facce (come la sua, del resto) e soprattutto quella strana atmosfera che avrebbe fatto impallidire chiunque, ma non lui, che si sentiva a casa.

L'ospedale era un luogo orrendo. Era troppo bianco, troppo lontano dalla realtà in cui ero abituato a vivere ogni giorno.
Aspettare in quell'atmosfera mi rendeva nervoso. Ed io non ho certamente un bel carattere.
Dopo un bel fottio di minuti finalmente riuscii ad entrare nella stanza.
Non c'era nessuno nè gli abituali fiori che i riccastri bianchi portano in quantità, ma non c'era da stupirsi: lui era del Bronx.
Mi avvicinai a lui per vedere il suo aspetto, e non sembrava sicuramente conciato bene.
Presi la sedia di metallo che c'era accanto a lui di scatto, mi sedetti e lo osservai dritto negli occhi.
Quando si accorse della mia presenza lì apri pian piano.
Io continuavo a guardarlo attonito.
E lui, invece di soffrire, mostrava uno dei suoi migliori sorrisi.

"Che ci fai qua..."
"Sono venuto per te appena l'ho saputo."
"Non dovevi scomodarti..."
"Smettila di fingere. Dovevo farlo."
"Non ti vedo da mesi..."
"Il passato non conta. Ciò che conta è il presente, e ora sono qua."

Mostrò un altro dei suoi sorrisi, e mi sembrò di esser tornato indietro nel tempo.
Quando ero soltanto un ragazzino, un orfano, un reietto della società. Quando ero nessuno.
E lui mi accolse nella sua casa, mi fece crescere e maturare.
Cambiai radicalmente e riuscii ad imparare le rigide e ferree regole di questa perenne lotta per la vita.

"A volte... A volte mi chiedo perchè l'hai fatto. Perchè hai deciso di accogliere in casa tua un orfano, un ragazzino di cui non sapevi niente, e che ti rese la vita difficile i primi giorni."
"Difficile? Non credo proprio..."
"Non ti ricordi? Continuavo a rubacchiare, a seminare zizzania nel tuo bar, allontanavo i clienti. Eppure tu mi rispondevi sempre col tuo solito sorriso... Sembrava così insopportabile..."
"E dopo?"
"E dopo... Beh, incominciai ad amarlo. Mi sembrava di esser di fronte ad un qualcosa di soprannaturale. Non credo che ci sia un Dio, anzi, non me lo sono mai chiesto. Ma se esiste, era in quel sorriso. Perchè l'hai fatto? Perchè mi hai cresciuto, perchè hai dedicato così tanto tempo a me?"
"Perchè tu sei mio figlio!"

Detta quella frase il mio sangue si gelò.

"Quando ti vidi all'orfanotrofio, capii che avevi bisogno di qualcuno, di una guida. Sembravi diverso dagli altri ragazzini. Ti ho cresciuto come un figlio, e ti reputo ancora un figlio!"
"Fai male! Io ti ho abbandonato, me ne sono andato per la mia strada e ti ho abbandonato! E vedi ora come ti ritrovo! Ma ora cambierà tutto, sarò di nuovo al tuo fianco..."
"No Jax. Non lo fare, ti prego..."
"Cosa? Mi odi per ciò che ti ho fatto? Capisco... Ma perdonami, ho capito di aver sbagliato, sono pronto a fare tutto ciò che mi chiederai!"

Avvicinò la sua mano alla mia, afferrandola con forza, nonostante sembrasse così debole.

"Ascolta Jax... Ho passato molti anni della mia vita a farti crescere, e penso di aver tirato su una persona da un carattere fortissimo... Ma non ti rammollire... Cerca di seguire la tua strada, non tornare indietro, ormai io sono... il tuo passato..."
"Non dire cazzate!"
"Ascoltami... La tua strada si è ben delineata... Non ti adagiare sugli allori... Sei un combattente, ma a volte ti senti troppo sicuro di sè, pensi di esser già arrivato in cima al mondo, e alla prima debolezza il tuo castello di carte crolla... Sono... Sono molto felice che tu sia venuto qui... Ma io ce la farò, non ti preoccupare... Ora... Ora non pensare ad un povero vecchio e vai, combatti, dimostra di valere, dimostra che un figlio di nessuno può riscattarsi, anche se a costo di tante ferite..."
"Io ho già cicatrici ovunque, e molte le ho prese qua, nel Bronx. Cosa dovrei dimostrare ancora?"
"Dimostra di essere lo stesso Jax che ho cresciuto io, e non un debole, un corrotto, una misera persona che pensa solo al denaro... Ti ricordi cosa dicevi quando veniva un cliente ricco? Iniziavi a disprezzarlo appena questi sarebbe uscito dal bar. E ora invece tu sei diventato un viziato, un rammollito! Jax... Fai il tuo dovere... Non m'interessano i risultati, non m'interessa cosa diranno di te. M'interessa solo che tu dimostri di essere la persona che ho voluto crescere... Ora vai..."

Lo guardai attonito. Ma eseguii i suoi ordini. Non prima di aver fatto il mio dovere dicendogli, per la prima volta da diverso tempo, parole d'affetto.
Un particolare mi colpì. Uno strano fiore, di un rosso intenso, sul comodino.
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