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L'Assassino [Underdog]

Ultimo Aggiornamento: 18/05/2011 01:03
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Bluebird
17/05/2011 20:37
 
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Ecco il mio primo spot. Vorrei specificare che le parti in Arial, corsivo e grassetto sono analessi.




Era buio. L’unica fonte di luce era quello scorcio di luna lasciato intravvedere dalle nubi nere che coprivano il cielo e le stelle di quella gelida notte del 29 Gennaio 2001. L’unico rumore era il fruscio delle rade foglie degli alberi pressoché spogli che fiancheggiavano la viottola lungo la quale camminavo, rabbrividendo ogni qual volta venivo scosso da gelide raffiche di vento tagliente come un rasoio. Era buio e faceva un freddo cane, avevo tanta voglia di tornare a casa e sedermi sulla mia comoda poltrona davanti alla ristorante fiamma del camino nel salone, ma dovevo continuare ad ergermi contro tutte le avversità, proprio come Armin: sicuro, allegro, sorridente. Eccolo! Riuscii a riconoscere l’ingresso di quella casa, con quel cancello enorme e bianchissimo ed estremamente facile da scavalcare. Scavalcatolo facendo non poco baccano, mi nascosi preventivamente dietro un grosso fuoristrada per qualche secondo, per poi venir fuori, dopo aver accertato che nessuno mi avesse udito. Ripresi a camminare. “Oliver, fermo qui! Tu non sei un assassino, perché lo fai?! Io non merito tutto questo, gli assassini lo meritano, non io!”no! Dovevo continuare: ogni mio passo era programmato, ogni mio atto parte di un piano preparato con un lavoro solerte, se non addirittura febbrile, e non potevo gettare alle ortiche interi pomeriggi dediti alla preparazione di ciò che mi apprestavo a compiere! Il mio lavoro sarebbe stato inutile, come al solito! Nonostante questo conflitto interno, proseguii a cauto incedere lungo l’ampio cortile, finalmente arrivai alla porta. Bianchissima come il cancello, alta ed imponente. Benché tremassi, riuscii quasi senza problemi a far scattare la serratura di quella porta; non ero particolarmente atto alla forzatura delle serrature, ma per cose del genere era necessaria una sorta di istinto, che fortunatamente non rientrava nelle mie innumerevoli manchevolezze. Era buio e faceva un freddo cane, pertanto decisi di ignorare il mio tremore e di inoltrarmi nell’oscurità della tana del nemico, dove a breve avrei messo fine a quella tortura. “Io non sono un assassino. Cosa sto facendo? Chi sei, Oliver, cosa fai?” Quella decisione si ritorse contro di me: il mondo mi crollò addosso, le mie paure presero il sopravvento, ma, d’altronde, io non ero un assassino. Sudavo freddo ed avevo paura, una paura tale da impedirmi di proseguire, da farmi gelare il sangue nelle vene. “Io non sono un assassino, io non sono un assassino!” la stanza cominciava a stringersi, la testa girava forte.


Una voce interruppe il flusso dei miei pensieri – Oh, ehi, andiamo, cosa fai lì seduto? – una figura alta e snella si protese verso di me che, seduto in un cantuccio, osservavo passivamente che il ballo stava movimentandosi proprio in quel momento. Sorrideva, sembrava tanto felice... i suoi occhi erano di un azzurro vivissimo ed il suo viso liscio come quello di un bambino. Sfoggiava tante piccole lentiggini sulle guance e sul naso, era perfettamente curato in ogni suo dettaglio; non lo avevo mai visto, ma lui pareva conoscermi. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotto da mio fratello Armin, che gli appoggiò una mano sulla spalla – Non preoccuparti di lui, è un morto e non si alzerà mai da quella sedia – disse, rivolgendomi un sorriso di scherno; si diresse poi verso il centro della sala, confondendosi tra la folla. Il ragazzo non sembrava essere stato convinto dalle parole di Armin, ma decise comunque di abbandonarmi e seguirlo, perdendosi tra gli altri mentre chiamava mio fratello a gran voce.


Urtai qualcosa nel buio, sobbalzai spaventato, dopo qualche secondo realizzai che la mia maldestrezza non aveva creato alcun danno. “Io non sono un assassino” continuavo a ripetermi, benché tra le mani stringessi una pistola; intanto la stanza aveva smesso di girare. Tutto era tornato a tacere, decisi pertanto di preseguire nel buio di quel ricco ingresso, ma realizzai di non riuscire a farlo: sì, le ginocchia non mi reggevano più, e dovetti aggrapparmi a quello che avevo urtato prima per non cadere. Stetti alquanto aggrappato a quell’arredo, il cuore batteva fortissimo ed io non ero un assassino, e volevo voltarmi e tornare indietro. Ma poi? Cosa sarebbe successo? Non volevo che quella tortura continuasse, e non conoscevo altre maniere per fermarla, perché non ve n’erano. Ero in grado di continuare? Lasciai quella consolle e... sì, non capitombolavo! Potevo finalmente continuare il percorso...


Passeggiavo da solo lungo l’ampio cortile appena fuori dal castello che aveva ospitato quella festa. Festa che era volta al termine e che, tra saluti, convenevoli ed inchini, vedeva tutti i suoi invitati andarsene a piedi od in auto. Io aspettavo appoggiato all’auto di Armin, che tardava ad arrivare. Lo vidi, era accompagnato da quel ragazzo, ragazzo con il quale discuteva animatamente, gesticolando e ridendo. Mi aspettavo di vedere botte o pianti da un momento all’altro, ma non fu così. Scoppiai a piangere, realizzai che non era lui ad essere su un piedistallo, ero io ad essere sottoterra. Armin notò il mio dirotto pianto, e scoppiò in una risata fragorosa, pensando probabilmente che ormai non doveva nemmeno toccarmi perché piangessi, ma soltanto avvicinarsi. Ma cosa capiva lui? Lui che era grosso, bello, simpatico e benvoluto? – Cosa è successo, Oliver? – chiese quel ragazzo. La sua voce era calda e penetrante, così come il suo sguardo. Si stava avvicinando, rinnovò la domanda. Sentivo il mio cuore battere sempre più forte, ed un ”Bum Bum Bum” in crescendo che mi stava tormentando. La sua voce mi accarezzava, la sua presenza mi martellava, cercai di allontanarmi, tra lo scherno sempre più plateale di mio fratello e le richieste del suo amico di fermarmi, era evidente che, nonostante il bel vocino ed i modi gentili e raffinati, partecipasse anche lui alla mia tortura, divertendosi con Armin a rendermi la vita impossibile. Mi stava inseguendo. – No! No! No! Via! Vai via! – non c’è scampo, no! Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum...


Rabbrividii a quel ricordo. Era così, sempre così. I suoi modi gentili, i falsi tentativi di rassicurarmi... falsità. Armin mi aveva insegnato che non devo fidarmi proprio di nessuno, e forse questa vita tanto travagliata e piena di sventure era dovuta proprio ai miei eccessivi scrupoli. Stavolta sarebbe stato tutto diverso, stavolta comandavo io. Strinsi la pistola più forte che potevo: non doveva scappare via. La casa era vuota, i suoi genitori fuori per lavoro, lui era solo ed indifeso, immerso nel buio pesto, lui era nella mia situazione; io avevo l’arma, io ero sveglio, io potevo minacciarlo e far ciò che volevo della sua sordida esistenza. Mi sentivo sicuro? No: l’aria era pesante, ogni passo era un’agonia di fatica. Ma avanzavo, dritto verso la scalinata, uno, due tre... eccolo! Bum Bum Bum Bum Bum Bum: si era accorto di me! La rabbia riaffiorava, accelerai il passo, salire era una fatica immane, ma avevo poco tempo.
Quel forte crescendo di rumori sordi e secchi mi stava torturando, mi empiva di rabbia e la mia unica consolazione era il fatto che presto avrei potuto farla finita. Sorrisi, ma non ero un assassino.
Saliti faticosamente due o tre scalini, mi bloccai: voleva scendere? Cosa avrebbe fatto di me? Stava torturandomi, stava tendando di torturarmi, questo era poco ma sicuro. Stavolta non ce l’avrebbe fatta, stavolta tutto sarebbe finito, me lo stavo ripetendo fino alla noia. “Finirà, finirà, finirà, finirà”... no. Non volevo crederci: si era certamente accorto di me, dal momento che aveva cominciato a torturarmi, ma non faceva null’altro. Non si faceva vivo, probabilmente si era nascosto, sì che potesse torturarmi senza essere trovato. Io non demordo mai facilmente, o almeno non mi sarei mai arreso in quel caso, io l’avrei fermato, avrei liberato il mondo da quel fardello.
Mancavano solo pochi gradini... sì, ero finalmente al primo piano. Ero giunto ad un lungo corridoio molto spazioso e dalle pareti bianchissime che portava a diversi stanzoni, sapevo che avrei trovato il mio obiettivo in una di queste stanze, lo sapevo. Procedetti con cautela verso quella di fronte a me, ma non vi era nessuno. Uscii silenziosamente e mi appressai verso la stanza immediatamente a sinistra. ECCOLO! Sì... quel rumore si faceva più intenso e rimbombante, più forte, più veloce. Spalancai gli occhi e mi diressi in tutta fretta verso quel diavolo, che intanto fingeva di dormire. – MI CREDI UN IDIOTA?! – gridai, mentre lui finse notevolmente bene di svegliarsi di soprassalto. – COSA MI CREDI? CHI CREDI CHE IO SIA?! IL TUO GIOCATTOLO? IL TUO PUPAZZO?! MALEDETTO, MALEDETTO, DIAVOLO FIGLIO DI UNA CAGNA, AAAAARGH! – ero sul punto di piangere, riusciva a rendermi la vita un inferno e a farmi provare rimorso quando stavo per fermarlo, per riprendere ciò che mi era dovuto: la mia calma, il mio senno, la mia testa. Le mani mi tremavano, ma tremava anche lui. Ero sopra di lui, lui piangeva, piangeva come avevo pianto io per mesi, per mesi e mesi di torture, per mesi e mesi di piani su come fermarlo, per mesi e mesi di ricerca del momento più adatto. Adesso avevo tutto nelle mie mani, un semplice gesto e tutto sarebbe finito, eppure non ce la facevo. Non ce la facevo perché io non ero un assassino, io non ero come lui, IO NON SONO UN ASSASSINO. Non sono un assassino, ma la canna della mia pistola era a pochi millimetri dalla sua fronte, i suoi occhi erano gonfi di pianto e di paura, il suo corpo scosso dai tremiti, il suo sorriso scomparso. Era malridotto, finalmente, finalmente non aveva più quella parvenza di perfezione che lo aveva sempre accompagnato, tremava, TREMAVA! Tremavo anche io, e non riuscivo a guardarlo negli occhi.


Passava spesso a casa Rothschild, sempre emettendo quel rumore insopportabile, da un po’ di tempo aveva anche cominciato a causarmi terribili emicranie. Eppure era sempre così gentile, amichevole e disponibile... lo odiavo. Riusciva perfettamente a fingersi ignaro di quello che mi stava facendo, ma in realtà mi torturava sempre di più, e la sua presenza ormai era divenuta insopportabile. Nondimeno le sue visite si facevano sempre più frequenti, e, benché mi tenessi quanto più distante potevo da quell’abietto, non riuscivo mai a scampare a quel rumore. Divenni nervoso, nervosissimo, lui mi aveva rovinato la vita!

Sentii bussare alla porta. Ero rannicchiato sulla mia poltrona, lo sentii arrivare. Lo sentivo: Bum Bum Bum... proprio così. Martoriato da un mal di testa pulsante, piansi silenziosamente, preda del dolore e delle torture che quei diavoli senza scrupoli stavano portando avanti per mesi. Piansi silenziosamente e mi liberai di un fardello, mi liberai del peso opprimente del risentimento, solo per un istante, solo finché perdevo la mia coscienza in quel dirotto pianto. Durò poco, troppo poco, e la testa riprese a pulsare, e quei tonfi sordi ripresero a rimbombarmi nella testa. Non c’era via di scampo, ero condannato. Sentivo i loro passi pesanti, venivano da me. Il dolore cresceva, i suoni si facevano sempre più insistenti, le lacrime scendevano sempre più copiose... l’amico di Armin, ragazzo di cui mai seppi il nome, si chinò al mio capezzale. – Cosa è successo? – chiese con quella solita falsa inconsapevolezza - Non devi preoccuparti – risposi - ti garantisco che finirà presto –
Tutto sarebbe finito presto, me lo promisi.


Tremavo, avevo paura, ma ne aveva anche lui, lui mi temeva, lui sapeva che mi sarei vendicato, sapeva perché ero lì e sapeva tutto quello che mi aveva fatto, tutto quello che avevo dovuto sopportare. La testa mi faceva male, malissimo, i rumori secchi erano sempre più insistenti, ma stavolta non ce l’avrebbe fatta, stavolta avrei vinto io. Trassi un respiro profondo, chiusi gli occhi...
Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum....
BUM! tutto si risolse in un “bum”. Era tutto finito, c’era silenzio. Chiusi gli occhi, assaporai quel silenzio che mancava da tanto tempo. Mi alzai dal letto. D’improvviso ricominciò. Nooooo! Quel rumore ricominciò, più forte di prima! Tutto inutile, tutto inutile, tutto inutile!

Le finestre filtravano la luce di quel piccolo scorcio di luna lasciato scoperto dalle nubi nere, e riversavano la luce in un piccolo angolo della stanza. Io ero là, rannicchiato in quel cantuccio di luce, col viso rigato dalle lacrime e la testa che faceva male, male come non aveva mai fatto. Quei tonfi sordi non erano finiti, nulla era finito, e mi resi conto in un attimo di lucidità di essere un assassino. Sì, ero un assassino, assassino di me stesso e della mia vita, schiavo alla disperata ricerca della libertà. Si sa: se uno schiavo uccide il proprio padrone avrà un fato ben peggiore della semplice schiavitù, che a quel punto viene rimpianta. Qual era il mio destino? Perché Yaveh mi aveva creato schiavo?

Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum Bum...
[Modificato da Norshel 17/05/2011 20:51]
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Aaron Kirk
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17/05/2011 20:58
 
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Grande, grande spot di Sottocane. Complimentoni a te, Carlone.
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Paul DeSade
17/05/2011 21:50
 
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Anache?
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18/05/2011 00:57
 
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Re:
Triple R, 17/05/2011 21.50:

Anache?




Che intendi dire?
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Aaron Kirk
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18/05/2011 00:57
 
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Intendeva flashback xD

Analessi=Flashback
[Modificato da Aaron Kirk 18/05/2011 00:58]
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Bluebird
18/05/2011 01:03
 
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Oh, adesso ho capito... sì, è come dice il fesso: analessi è il termine fico per "flashback".
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