PREMESSA:
"Gloomy Sunday" è una melodia composta nel 1933 da Rezsô Seress, un malinconico pianista e compositore semifallito nato in Ungheria in 1899. Nessuna delle sue composizioni riusciva ad impressionare i produttori francesi, ma Seress continuava ad inseguire il suo sogno. Le sue aspirazioni artistiche seguite da scarsi risultati erano causa di continue discussioni con la sua fidanzata; portarono alla definitiva rottura dopo una lite furibonda, nel 1933.
Il giorno dopo la lite - una domenica - , Seress era seduto al piano, nel suo appartamento. Fuori dalla finestra un cielo plumbeo, il panorama di una Parigi grigia e bagnata da una pesante pioggia, sembrava la fedele espressione esteriore del malessere che lo accompagnava dopo la rottura con la fidanzata. Cominciò a suonare. Una melodia lenta e malinconica, dove ogni nota si incupiva dell'alone di infelicità che aleggiava intorno a Seress. A gloomy sunday.
La struggente melodia fu messa su pentagramma e inviata, con più speranza del solito, ad uno dei tanti produttori che lo avevano già rifiutato in passato. Dopo un primo rifiuto perché "ha un ritmo e una melodia molto strana e deprimente", fu mandata ad un altro produttore, e fu finalmente accettata. La canzone fu presto distribuita in tutti i paesi del mondo, e Seress ne era entusiasta.
Un paio di mesi dopo la pubblicazione, cominciarono a verificarsi una serie di strani eventi, che in qualche modo erano collegati alla nuova canzone. A Berlino un giovane chiese ad un gruppo di suonare Gloomy Sunday, e alla fine dell’esibizione l’uomo andò a casa e si fece saltare la testa con un revolver, dopo essersi lamentato con la famiglia del fatto che si sentisse terribilmente depresso dopo aver sentito la melodia di una canzone che non riusciva a togliersi dalla testa. La canzone era Gloomy Sunday.
Una settimana dopo nella stessa città una giovane commessa fu trovata impiccata nel suo appartamento. La polizia, che si occupò delle indagini, rinvenne nella stanza della ragazza suicida lo spartito di Gloomy Sunday. Due giorni dopo quella tragedia, una giovane segretaria di New York si uccise asfissiandosi con il gas, e in una nota chiese che Gloomy Sunday fosse suonata al suo funerale. Qualche settimana più tardi un altro newyorkese 82enne si buttò dalla finestra del suo appartamento dopo aver suonato la stessa canzone al pianoforte. Contemporaneamente un adolescente a Roma, dopo aver sentito la canzone, si uccise gettandosi da un ponte.
I giornali di tutto il mondo cominciarono a riportare altre morti associate alla canzone di Seress. Un giornale parlò del caso di una donna in North London, che teneva a tutto volume una registrazione di Gloomy Sunday, facendo infuriare e spaventando i vicini, che avevano sentito delle fatalità collegate alla canzone. La puntina si incantò in un solco, e lo stesso pezzo di canzone continuò a suonare ripetutamente… bussarono invano, poi decisero di forzare la porta e trovarono la donna morta sulla sua poltrona, in overdose da barbiturici.
Nei mesi successivi continuarono a verificarsi morti che in qualche modo potevano essere collegate a Gloomy Sunday, e questo portò la Bbc a proibirne la diffusione via radio.
In Francia lo stesso Seress si trovò a vivere in prima persona i nefasti effetti della sua creazione. Scrisse alla sua ex fidanzata, cercando una riconciliazione. Pochi giorni dopo gli arrivò la tragica notizia. Seress apprese dalla polizia che la sua amata si era avvelenata. Accanto al suo corpo, fu ritrovato uno spartito di Gloomy Sunday.
Lo stesso Seress morì gettandosi dall'ultimo piano di un palazzo a Budapest nel 1968.
Dopo la prima versione di Seress, il testo fu scritto da László Jávor con un tono più doloroso e malinconico, per poi assumere la forma definitiva in inglese nelle parole di Sam M. Lewis, che aggiunse una terza strofa tesa a dare alla canzone un tono più sognante e meno lugubre, anche per levarle di dosso la già cupa fama che l'accompagnava. Negli Stati uniti e in Inghilterra si dice ci furono ben 200 suicidi dovuti all'ascolto della versione di Billie Holiday nel 1941.
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"La mia classica sfortuna..."
Quella grigia e plumbea domenica volgeva al termine per Jim Newman. Non che il resto della giornata fosse stato più divertente, ma alle 8 di sera, Jim già era tentato dall'uscire per affitarsi la solita VHS, davanti alla quale si poteva addormentare senza che nessuno lo disturbasse, in attesa di un'altra settimana di duro lavoro.
Jim estrasse l'ombrello dal portaombrelli all'ingresso, per poi aprire il casetto dove si soliio c'erano le chiavi di casa e la tessera della videoteca. Le chiavi erano come sempre al loro posto, ma della tessera nemmeno l'ombra. Tirando fuori il cassetto dalla sua sede, Jim ne rovesciò il contenuto sul tavolo della camera da pranzo. Mille cianfrusaglie si sparsero sul legno scheggiato. Togliendo di mezzo un paio di occhiali senza una lente e un vecchio biglietto della metropolitana, un pezzo di carta emerse. Un biglietto per il teatro.
"Mamma, lo sai che non mi piace il teatro..."
Prese velocemente la tessera e si avviò verso la porta, quando una strana forza lo bloccò. Guardò il legno bianco e lucido della porta di casa con gli occhi sbarrati, si voltò lentamente, prese il biglietto del teatro e uscì con passo deciso nella pioggia.
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L'insegna luminosa della videoteca era rotta da tempo, ma Jim ci andava da talmente tanto tempo che poteva raggiungerla ad occhi chiusi.
Il vecchio Hank, proprietario della videoteca, sonnecchiava dietro il bancone. Gestiva controvoglia la sua attività un pò perchè non ci andava nessuno, a parte Jim Newman, e un pò perchè per lui il cinema si era fermato 40 anni prima. Jim vide il vecchio attraverso la vetrina ed automaticamente infilò una mano in tasca, estraendo il suo biglietto. Lo guardò intensamente per poi girare su se stesso, in cerca di qualcosa. Scrutando nella pioggia, Jim trovò quello che cercava.
"TAXI!"
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Seguendo le istruzioni del biglietto, l'autista del taxi trovò il teatro. Pagati i 20 dollari segnati sul tassametro, Jim scrutò il teatro. Un vecchio edificio scuro, dal quale non trapelava nemmeno un fascio di luce. Sembrava disabitato.
Guardando ancora il biglietto, si avviò senza guardare sulla scalinata d'accesso.
"Biglietto prego."
Jim sussultò guardando un vecchio usciere fermo dinnanzi a lui. Il vecchio lo guardava intensamente con i suoi occhi arrosati dal tempo e dalla vecchiaia. Con la mano tremante, Jim porse il biglietto.
Il vecchio lo guardò e poi, senza dire una parola, si fece da parte.
Il pesante portone di legno si aprì su un atrio grandissimo, illuminato da molte candele. In fondo c'era una grande tenda rossa, peceduta da un piccolo banchetto, dove stava un uomo. Era più giovane dell'usciere, ma aveva la stessa espressione. Jim avanzò nell'atri. I suoi passi rimbombavano sinistri. Giunto alla tenda, l'uomo gli chiese la giacca. Jim guardò il cartello accanto all'uomo e lesse solo una frase: "Matt Draven in Gloomy Sunday". Distolse lo sguardo dal cartello, tolse la giacca e la appoggiò sul banchetto. L'uomo la guardò e la gettò con noncuranza dentro ad un cassonetto. Jim sbarrò gli occhi, ma non ebbe il tempo di dire nulla, perchè l'uomo aprì uno spiraglio nella tenda e lo fece entrare.
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Se fosse stato uno spettacolo normale, e se avesse saputo cosa avrebbero rappresentato, Jim sarebbe stato quasi contento. Il suo posto era all'altezza giusta, ed era molto centrale. Il palco, coperto dal sipario gli si spalancava davanti.
Se ne accorse dopo qualche secondo di smarrimento. Era l'unico spettatore presente in quella sezione di teatro. Provò a guardare giù. Vide molte persone con lo sguardo fisso sul palco, in silenzio religioso.
Non fece in tempo a ragionare, che le luci si spensero, mentre il sipario lentamente si apriva.
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Nessuna orchestra. Nessuna scenografia. Solo un ragazzo dai lunghi capelli neri ed un microfono.
Una lenta e tetra melodia cominciò a vagare per il teatro, mentre il ragazzo, che chiaramente era Matt Draven, cominciò a cantare.
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La melodia andava, ed attraversava la testa di Jim. Il ragazzo sul palco cantava incessantemente con i capelli davanti al volto, mentre la gente sotto la postazione di Jim rimaneva impassibile. Delle lacrime sgorgarono dagli occhi di Jim Newman. davanti a lui si materializzò qualcosa. Una pistola di grosso calibro.
Altre lacrime calde. mentre la sua mano andava ad afferrare la pistola, Jim piangeva. Lentamente si portò la pistola allo stomaco. Guardò per l'ultima volta il palco, dove la musica continuava incessante e lugubre, e poi fece fuoco.
La ultime immagini annebbiate dalla morte, le ultime che ogni uomo vede prima di morire, regalarono a Jim un contatto visivo con il ragazzo. Jim chiuse gli occhi, per sempre.
Sicuramente gli rimaneva poco da vivere, ma gli occhi del ragazzo sul palco accorciarono ulteriormente quel che gli restava da vivere sulla terra.
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"Suicidio?"
Il Capitano Dan Matthews, affiancato da alcuni agenti giunti per primi sul posto, guardavano un cadavere con un grosso buco sullo stomaco, accasciato in un teatro abbandonato da anni. La gente che viveva vicino all'edificio abbandonato aveva sentito lo sparo ed aveva subito chiamato il 911.
"Mi sembra evidente. chi era quest'uomo?"
Il capitano Matthews si girò verso uno dei suoi agenti, attendendo una rispota.
Il più alto degli uomini in divisa rispose.
"Jim Newman, 35 anni. Viveva da solo, aveva un buon lavoro, non gli mancava nulla."
Dan Matthews aspirò una lunga boccata dalla sua sigaretta e chiuse gli occhi. Quando aveva fatto irruzione nell'edificio, aveva trovato l'uomo morto e una melodia lugubre che continuava a suonare.
"Ma da dove viene questa cazzo di musica?"
Un altro uomo in divisa emerse dall'oscurità di uno degli stanzini del teatro.
"Non lo sappiamo Capitano. Abbiamo cercato invano la fonte della musica, ma non sembra esserci nulla."
Il capitano Dan Matthews gettò la sigaretta a terra e si avviò verso l'uscita chiudendo gli occhi.
"Beh, fatela smettere, perchè mi sta deprimendo a tal punto che vorrei infilarmi una pallottola in testa..."