| | | OFFLINE | | Post: 6.269 Post: 1.827 | Registrato il: 18/10/2006 | Città: SERRAVALLE PISTOIESE | Età: 37 | Sesso: Maschile | Power Handler | Desperation Iron Man Champion | Nick Porter/Kastriotis | |
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21/05/2007 13:23 | |
Sconfitte, io non riesco proprio a sopportarle…
Ma in questo periodo ne ho subite troppe e ciò ha influito sul mio umore solitamente allegro e dedito al libero cazzeggio.
E posso anche dare una data all’inizio di questo mio periodo nero riconducendolo al giorno in cui mi sono dato al wrestling ottenendo un contratto con la World Bloody Fight Federation, un’opportunità sicuramente redditizia dal punto di vista monetario oltre che emotivo, dato che ho sempre desiderato di viaggiare il mondo e questo ora mi è possibile cambiando località di show in show, molto più che nel mio lavoro di fotoreporter (che comunque comporta qualche spostamento).
Tuttavia da quel giorno è cominciato il mio periodo nero e come spesso accade, la scalogna che ti percuote in una certa branca della tua vita si sposta anche nelle altre cose, dominando la tua esistenza. In poche parole, adesso sono uno sfigato in tutto.
Ora anche il mio lavoro giornalistico non sta godendo (e nemmeno io, visto che pure le donne scarseggiano) di un periodo brillante e sono abbastanza stufo di sentir sbraitare il mio capo Derek Runnels (il sergente Hartman sottomesso dalla moglie, ricordate?) tartassandomi i testicoli sul fatto che sto svolgendo un pessimo lavoro.
Ebbene, questo è il mio periodo nero e mi auguro che finisca al più presto. E so come farlo concludere: vincendo quel dannato Tournament Of Skill.
Sono più che certo che concludere la mia personale striscia di sconfitte in PPV potrà risollevare l’intera mia esistenza, e non datemi del superficiale perché avreste torto marcio: le sconfitte portano carenza di autostima, e la carenza di autostima è una vera e propria calamita per la sfiga. Questa è una delle pillole di saggezza di Nick Porter, segnatevela.
Sono chiaramente insoddisfatto della mia carriera di lottatore e tentare di sollevare il mio morale dicendomi che in fondo ultimamente ho ottenuto buone vittorie negli show settimanali comporterà uno sputo in un occhio a tal consolatore, perché dannazione, è vincendo nei PPV che dimostri di valere qualcosa!
Ho avuto due occasioni e ho fallito, delle banali vittorie di fronte ad un pubblico ridotto non possono essere considerate nemmeno una magra consolazione in confronto all’umiliazione subita nei grandi eventi.
Il problema è che quando sei sicuro di avere delle doti speciali, il fallimento non è contemplato e se avviene ti senti una merda, proprio ciò che mi sento in questo istante.
Io non mi sento inferiore a nessuno di quei tizi che vedo calcare lo stesso ring su cui cerco di guadagnarmi il pane, anzi, mi sento migliore rispetto a molti di loro. Ho sempre avuto un ego enorme e non posso negarlo né tanto meno smentirmi adesso che questa mia personalità è il mio unico appiglio che mi impedisce il crollo.
Io sono nato per essere un vincente, ne ho l’aspetto, il carisma, il cervello, le doti e qualunque altra cosa possa fare di me un fuoriclasse.
L’immagine del perdente non può essere riflessa su un individuo come il sottoscritto, ma su personaggi insignificanti come ad esempio il mio partner di lavoro, tal Cyril Myers. Un ciccione nevrotico e cacasotto, questa è l’immagine di colui che può solo subire.
Non è bello parlar male dei colleghi, ma Cyril fa di tutto per dare un’immagine negativa di sé stesso: l’altro giorno l’ho sfidato a centrare la scollatura di una nostra procace collega lanciando un pallino di carta. Io ho finto di effettuare un lancio centrando il bersaglio senza che la ragazza se ne rendesse conto e Cyril ha creduto che lo avessi fatto veramente (come quando si finge di lanciare lontano un bastoncino e il cane scatta per rincorrerlo quando in realtà l’attrezzo è ancora nella vostra mano. Esatto, Cyril è più stupido di un cane), così si è deciso a provare anche lui vincendo la sua codardia, spinto anche dai miei insulti in cui gli davo del cacasotto. Cos’è avvenuto? La sua pallina di carta era grande quanto una mela e la sua mira pessima, così ha colpito in piena faccia la collega che, infuriata, lo ha riempito di botte. Un’altra figura di merda per il povero zimbello Cyril.
Se non altro in redazione grazie a lui ci si diverte…
Ma lo vedreste uno come me al suo posto? Io lo sfigato che ne prende da tutti? Mai e poi mai. Eppure in WBFF è come se lo fossi, l’alter ego più snello dell’eterno perdente Cyril…e questo a me rode.
Nella mia vita non ho mai subito batoste, escludendo quella più grande, che ha segnato la mia vita rimanendo una cicatrice che non può rimarginare.
Listen to my story…
Avevo quattordici anni ed era l’inizio di un comune pomeriggio, tornavo a casa dopo una noiosa mattinata scolastica, l’unico momento delle mie giornate dove camminavo per le strade completamente solo senza la mia solita compagnia.
E qualcuno lo sapeva…
“Porter, dove credi di andare?”
In un attimo mi trovai circondato dalla banda di quello sfigato di Jackson, uno dei bulli della zona, che il giorno prima i miei amici ed io avevamo pestato per un banale litigio su chi doveva impegnare il campo di basket. A Detroit è così, si passa dalle parole ai pugni nel giro di un attimo per la minima stronzata.
Poi, inevitabile, arrivava la vendetta dello sconfitto.
E stavolta, io ero solo mentre il codardo aveva addirittura chiamato i rinforzi. Sei contro uno.
Nick: “Chi ti ha ridotto la faccia così, Jackson? A tua madre giravano ieri sera perché mancavano i clienti?”
Jackson: “Figlio di puttana, quello che mi hai fatto tu sarà niente in confronto a quello che subirai adesso!”
Come avrete capito, l’insulto più comune era dare della prostituta alla madre altrui.
N: “Certo, e ovviamente farai tutto da solo mentre questi coglioni resteranno a guardare, vero?”
J: “Ti piacerebbe, Porter. Ora che sei solo ti frantumeremo le ossa!”
N: “Sei e resterai sempre uno senza palle…”
Detto fatto, dimostrai il contrario di quanto avevo detto colpendolo con un calcio proprio in quel punto. La giusta punizione per avermi fatto ritardare a pranzo…
Ovviamente però i suoi amici mi saltarono addosso e mi pestarono finchè non rimasi accasciato a terra dolorante e grondante sangue, forse il più grande massacro che abbia mai subito in vita mia, e ne ho prese di botte, credetemi.
Ma non è stata questa la più grande sconfitta della mia vita. No. Ascoltate il seguito.
Dopo qualche minuto trovai la forza di rialzarmi e tornare a casa, rifiutando l’aiuto della gente impietosita nel vedermi in quelle condizioni. Proseguii il cammino verso la mia dimora, barcollante ma ancora in forze, senza poter immaginare quale sarebbe stata la reazione di mia madre nel vedermi rincasare in quelle condizioni.
Ecco la mia casa, finalmente. Estrassi di tasca le chiavi e le infilai nella serratura, ero in ritardo rispetto al solito, ma non mi interessava viste le condizioni in cui ero ridotto, e allora entrai.
Chiamai mia madre, ma nessuno rispose. Che fosse arrabbiata con me per il ritardo?
Cercai di inventarmi tutte le scuse possibili, ma alla fine capii che la verità era la cosa più giusta da riferirle dato che non potevo spiegarle in alcun altro modo la presenza dei lividi e delle macchie di sangue su tutto il mio corpo.
Eppure lei non rispondeva al mio richiamo, ma ero certo che non fosse uscita: lei mi attendeva sempre a pranzo, era un rito quotidiano che non poteva essere modificato.
Andai in cucina, la tavola era apparecchiata e il cibo mi attendeva nei piatti e nei vassoi…e mia madre era accasciata a terra priva di sensi.
Gridai, in preda al panico e alla disperazione, la abbracciai stringendola forte, la schiaffeggiai ma lei non si svegliava e il respiro era assente. Telefonai balbettante all’ambulanza ma era già troppo tardi, un improvviso attacco di cuore l’aveva stroncata già prima che tornassi da lei.
Secondo i medici era morta all’incirca verso le due del pomeriggio, orario postumo a quello cui ero solito tornare a casa da scuola.
Forse se fossi tornato all’ora di pranzo come ero solito fare, evitando quella rissa che mi ha devastato, avrei potuto salvare mia madre chiamando l’ambulanza in tempo…o almeno avrei potuto esserle accanto nel momento della sua morte.
Ma ciò non è avvenuto.
Questa è stata la mia più grande sconfitta.
E non è lontanamente paragonabile a quelle che ho subito nel mio attuale lavoro di lottatore, lo so.
Ma non voglio più subirne ugualmente, ho vissuto un periodo tutt’altro che felice da adolescente e non voglio che ciò si ripeta adesso.
Se continuerò a perdere, molto probabilmente me ne andrò dedicandomi solo al mio lavoro di reporter.
E allora, non ci sarà più motivo che continui a raccontarvi i miei aneddoti sottoforma di psicanalisi.
...This may be our last chance.
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