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Morte...e rinascita

Ultimo Aggiornamento: 25/05/2007 01:10
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New York, fine novembre 2004

Il cimitero alla periferia di New York era già sotto la neve. Il marmo delle tombe era coperto da una fredda coltre bianca, e l'aria gelida rendeva l'atmosfera piuttosto triste di quel luogo ancora più pesante.

E quel giorno la situazione era molto triste già di suo: c'era un funerale in corso, e anche se non c'era molta gente a vedere la bara che veniva calata nella fossa si sentiva bene il dolore aleggiare nell'aria. Il prete aveva da poco finito il suo sermone, e osservava con occhi tetri i becchini che facevano il loro lavoro, coprendo la bara di terra. Accanto alla fossa c'era una lapide già pronta; sul marmo nero era incisa una scritta: "Dana Light vedova Harrison; 11/07/1934-21/11/2004. Moglie, madre e nonna adorata. Riposi in pace."

Le persone intorno, in gran parte anziane, guardavano la scena quasi senza fiatare, probabilmente ricordando la defunta; alcune signore piangevano, confortandosi a vicenda; alcuni uomini si scambiavano una stretta di mano e una frase di condoglianza.

C'era invece un giovane che faceva eccezione: con meno di vent'anni alle spalle, con indosso un vecchio abito nero sdrucito, fissava in silenzio ogni palata di terra gettata dai becchini sopra la dimora eterna di sua nonna.

Mark era solo: i suoi fratellini, che avevano già fatto fin troppo presto la terribile esperienza del funerale di una persona amata, non erano riusciti a sopportare l'idea di ripetere quell'esperienza; Mark però non aveva potuto farne a meno: si era sentito obbligato a dare un estremo saluto alla persona che aveva tenuto unita la loro famiglia anche davanti alle più terribili avversità. Rimase a fissare la tomba anche dopo che, alzata la lapide, i becchini se ne furono andati, e così anche il resto della gente. Passarono diversi minuti, poi, quasi risquotendosi da un sogno, Mark si avvicinò alla lapide, tirò fuori da sotto la giacca una rosa bianca e la depose sulla terra ancora fresca, che ben presto si sarebbe nuovamente coperta di neve, mormorando:- Addio, nonna.

Poi, mentre una lacrima gli scendeva sulla guancia, se ne andò nell'aria tetra e gelata.





Harrisweeld's Bar, New York, primi giorni di dicembre, 2004

L'Harrisweeld's Bar, situato nel bel mezzo del Bronx, da fuori sembrava una vera bettola: la facciata era sporca e consumata, la porta sembrava tenersi assieme per scommessa, e l'insegna, che una volta era stata al neon, languiva spaccata sopra lo stipite. Sembrava veramente un buco per ubriaconi e drogati. All'interno la situazione era molto diversa: anche se si vedeva, dall'età di tutti i mobili, che il padrone non stava facendo affari d'oro, ci si poteva aspettare decisamente di peggio vedendo l'esterno; anzi, a suo modo era anche abbastanza accogliente.

Non c'erano uomini troppo ubriachi né larve umane, come spesso se ne vedono nei bar dei bassifondi; alcuni avventori un po' alticci bevevano al bancone abbastanza tranquillamente; altri giocavano a poker ai tavoli; altri ancora colpivano le palle su due tavoli un po' malandati posti in un angolo. Un bar come tanti, insomma. Non prospero ma dignitoso, sufficiente a mantenere una famiglia.

Nessuno fece molto caso al ragazzo che entrò dalla porta quella sera di dicembre; nessuno tranne la signora Harrisweeld, la piacente padrona del bar, che quella sera serviva al bancone. Neanche lei avrebbe saputo dire perché fece caso a quel giovane; forse fu per la sua faccia: in quarant'anni di vita non credeva di aver mai visto un volto del genere. Era un ragazzo: non doveva avere più di diciotto anni. L'età di suo figlio più grande. Il volto, incorniciato da corti capelli neri, era bello ma molto, molto triste. La signora Harrisweeld non credeva di aver mai visto tanta tristezza, tanto dolore, tanta disperazione negli occhi di qualcuno.

Sembrava che uno schiacciasassi gli fosse passato sopra ed avesse poi fatto marcia indietro per finire il lavoro.

Mark si avvicinò al bancone con il passo stanco di chi ha combattuto un match di quindici round con la vita ed ha perso, e chiese alla padrona del bar, con voce atona:- Una bottiglia di whiskey e un bicchiere, per favore.

La signora Harrisweeld lo guardò per qualche istante, perplessa, poi, senza sapere neanche il perché, trasformò la sua espressione nel migliore cipiglio da madre che sapeva fare e disse:- Non sei un po' giovane per berti tutto quel liquore, ragazzo?

Il giovane la guardò con occhi tristi, e la sua bocca si aprì in un triste sorriso:- Forse. Ma in fondo che importa? Peggio di così...

- Un ragazzo della tua età queste cose non dovrebbe neanche pensarle. A diciotto anni la vita è bella, ed il futuro è tutto vostro.

- Mi creda, ho ottimi motivi per pensare negativo, e so che il mio futuro non sarà meno nero del presente. Ora mi dia quel whiskey, per favore. Voglio pendermi una sbornia clamorosa e dimenticare tutto per un po'.

Vedendo l'espressione di quel ragazzo e sentendo le sue parole la signora Harrisweeld comprese che doveva essergli veramente crollato il mondo addosso, e, pur non essendo ancora convinta di volerlo lasciare distruggersi, prese dallo scaffale una bottiglia di Jack Daniels e fece per porgergliela.

-No, non quello.- disse Mark,- Costa troppo, non posso permettermelo. Mi dia quello nell'angolo in alto a destra.

La padrona del bar ripose la bottiglia e prese quella che il ragazzo le aveva indicato: era una bottiglia di pessimo scotch, probabilmente il peggiore liquore che aveva nel bar. Quel giovane doveva essere messo veramente male.

La signora gli porse la bottiglia e un bicchiere, ma non si era ancora rassegnata a fargli bere quello schifo; sentiva una certa tenerezza per quel ragazzo, e intuiva che la sua non doveva essere stata una storia facile.

- Questa merda non risolverà i tuoi problemi, ragazzo. Non ti aiuterà.

- No, ma me li farà scordare per un po'. Sarà comunque un miglioramento rispetto ad ora.- e fece per stappare la bottiglia.

La signora mise una mano sul tappo e gli impedì di toglierlo:- Io non so cosa ti sia successo, ragazzo, ma so che i problemi non possono essere affogati nell'alcool. Credimi, ho visto molta gente tentare di fare quello che vorresti fare tu, e ho imparato che i guai sanno nuotare. Puoi forse toglierteli dalla mente per qualche ora, ma quando i fumi della sbornia si dissolveranno si ripresenteranno più grossi e incombenti che mai.

Il giovane alzò gli occhi tristi e fissò la donna:- E allora cosa dovrei fare? Suicidarmi?

Aveva risposto con calma, ma iniziava a sentir montare la rabbia: che ne sapeva quela donna di quello che gli era accaduto? Sapeva forse che la sua vita era andata a pezzi? Sapeva che era rimasto solo, con due fratellini di cui occuparsi? Sapeva quello che provava, tutto il dolore, la rabbia, la frustrazione che albergavano nel suo cuore?

La signora abbozzò un sorriso:- Beh, tanto per cominciare potresti dirmi il tuo nome!

Il giovane emise un sospiro depresso, poi disse, nella speranza che quella donna lo lasciasse bere in pace:- Mark. Mi chiamo Mark.

- Benone. E ora, Mark, perché non mi racconti cosa ti è successo?

Negli occhi di Mark alla tristezza si sommò la sorpresa: per quale motivo quella donna che neanche conosceva si interessava tanto ai suoi problemi? Cosa gli importava? Poi rispose, quasi con rabbia:- E a lei cosa importa? Non mi conosce neanche! Non credo siano affari suoi!

La signora continuò a sorridere:- Beh, tanto per cominciare sei nel mio locale, e vorresti devastarti il fegato con il mio pessimo liquore; poi io sono una mamma, e ho un figlio della tua età, quindi mi sembra normale che provi un certo trasporto nel vedere un ragazzo come te ridotto così; infine, purtroppo ho molti più anni ed esperienza di te, e a meno che non mi sbagli di grosso tu mi sembri avere un gran bisogno di una spalla su cui piangere, di qualcuno che possa ascoltarti. Quindi non vedo perché non dovresti sfogarti un po', e chissà che io non possa aiutarti!

Mark rimase in silenzio a fissare gli occhi di quella daonna che gli parlava come una madre, e in quello sguardo buono e gentile rivide quello della sua quando da piccolo lo consolava se era triste.

Per un istante pensò che le avrebbe risposto "Nessuno può aiutarmi"; poi esplose, letteralmente: un fiume incontrollato di parole uscì dalla sua bocca, quasi senza che se ne accorgesse; era vero, non aspettava altro che una occasione per potersi sfogare, visto che con i suoi fratelli doveva mostrarsi il più possibile duro per non deprimerli ancora di più di quanto già non fossero.

Le raccontò proprio tutto: della sua poverissima infanzia; dell'omicidio dei suoi genitori; dei durissimi anni che erano seguiti, nei quali lui e sua nonna avevano lottato disperatamente per mantenere unito ciò che restava della loro famiglia; infine, le aveva raccontato della morte di sua nonna, avvenuta una settimana prima, e dell'abisso di oascurità nel quale era piombato da quel giorno; per lui era stato il colpo definitivo: erano capitate troppe cose brutte in quegli anni, ed ora lui, anche se era stato costretto a crescere molto presto, non si sentiva assolutamente in grado di mantenere sulle sue sole spalle i suoi due fratelli; era per quello che si sentiva tanto abbattuto: una responsabilità come quella, per un ragazzo di appena diciotto anni rimasto solo, era veramente troppo grande.

La signora Harrisweeld rimase per qualche secondo silenzioso a guardarlo, poi si affacciò alla porta che dava sul retro del locale e chiamò uno dei garzoni:- Oliver, stai un attimo tu al bancone. Io devo fare una cosa importante.

Mentre un uomo di circa trent'anni iniziava a servire gli altri avventori, che stavano iniziando a spazientirsi, la donna oltrepassò il bancone ed arrivò accanto al giovane, che si era accasciato su uno sgabello dopo il racconto; gli mise una mano sulla spalla e disse:- Mi dispiace, ragazzo. Veramente. La vita non è stata gentile con te.

Poi il suo volto si aprì nuovamente in un sorriso:- Voglio raccontarti una storia, Mark. Mio padre aveva appena quattordici anni quando morì mio nonno, nel 1945. Lui era un soldato, e fu ucciso nella battaglia di Okinawa. Lasciò mia nonna sola, con tre figli più uno in arrivo. Mio padre era il maggiore. I miei bisnonni erano già morti, e mia nonna fu costretta a mettersi a lavorare duramente per mantenere la famiglia. Di giorno faceva la sarta, dall'alba alla sera tardi, e di notte lavorava come cameriera. Per aiutarla mio padre lasciò la scuola e si fece assumere in una fabbrica. Passarono due anni durissimi, poi mia nonna si ammalò di un brutto male e morì nel giro di un paio di mesi, lasciando soli i suoi figli. Per mio padre quelli furono giorni tremendi: si trovò di colpo con tre fratellini piccoli da mantenere, e senza che nessuno potesse aiutarlo. Mi ha raccontato che non si sentia assolutamente all'altezza di superare una prova ardua come quella, e di aver avuto la tentazione di fuggire. Eppure non si è arreso: ha continuato a lavorare, a lottare per la sopravvivenza della sua famiglia. Ha passato anni duri e cupi, anni di povertà e sofferenza, ma non ha mai ceduto, non ha mai detto "Ora basta, sono arrivato al limite". E lo sai com'è finita?

Con un ampio gesto della mano la signora Harrisweeld indicò tutto il bar:- Questo bar non l'ho comprato io, né l'ha comprato mio marito; fu mio padre ad acquistarlo, nel 1960. Ci investì quindici anni di risparmi. Certo, non è il "Ritz", non lo ha mai reso ricco, ma gli ha permesso di vivere una vita dignitosa; i miei due zii sono potuti andare entrambi all'università, ed ora uno è avvocato e uno chirurgo; mia zia ha potuto finire il liceo, poi si è trovata un buon lavoro, ed ora ha tre figli e due nipotini piccoli. E soprattutto, mio padre ha potuto mantenere mia madre prima e me poi. La sua non è stata una vita facile, ha dovuto lottare duramente, ma alla fine ha vinto!

Mark rimase fermo e silenzioso a fissare il vuoto per un paio di minuti dopo la fine della storia, mentre il suo cervello viaggiava a mille all'ora e cercava di assimilare quello che aveva sentito: quella storia sembrava incredibilmente simile alla sua, e l'uomo che n era stato protagonista non si era arreso alle avversità. La vita lo aveva gettato a terra e poi lo aveva calpestato, eppure lui non si era arreso, ed aveva trovato la forza di rimettersi in piedi e continuare a combattere. E lui invece voleva capitolare, alzare bandiera bianca, ricorrere alla bottiglia per dimenticare i suoi problemi...

No. Non poteva farlo. Non poteva arrendersi, ora lo aveva capito. Se non per se, doveva resistere per Brett e Sarah. Non poteva abbandonarli eanche lui.

Con una nuova decisione nel cuore Mark si alzò in piedi: avrebbe dovuto lasciare la scuola, trovarsi un lavoro, faticare duramente per sopravvivere, vivere anni di stenti, ma non si sarebbe arreso. Mai. Per i suoi fratelli...e per se stesso.

Per la prima volta sul suo volto si aprì un vero sorriso:- Grazie, signora. Le devo molto.

La signora Harrisweeld rise: E di cosa? Io non ho fatto niente!

- Ha fatto più di quanto pensa, mi creda.- e fece per andarsene.

- Non lo vuoi più il liquore?- gli chiese la donna, con un sorriso astuto sulle labbra.

Mark fissò per un attimo il demone al quale fino a qualche secondo prima avrebbe voluto consegnarsi, poi fece un gesto di diniego con la testa:- No. Non mi serve più. Non ora. Arrivederci, signora.- ed uscì dal bar con le mani nelle tesche della vecchia giacca.

La signora, sempre sorridendo, prese la bottiglia e la ripose dove l'aveva presa.

Quello era un bravo ragazzo, gentile, onesto e coraggioso; con quello che gli era successo era normale che fosse stato colto da un momento di scoramento; gli serviva una spinta per risollevare la testa e continuare a lottare, e lei aveva fatto in modo di dargliela.

In fondo, che importava se suo nonno in realtà era molto nel 1990, se sua nonna, ormai novantaquattrenne, viveva ancora in un tranquillo quartiere di Philadelphia, se suo padre era un avvocato di successo e se suo marito, padrone di un altro bar a Brooklin, aveva acquistato quel bar solo qualche mese prima e non aveva ancora avuto modo di ristrutturarlo ( a parte l'insegna, che era stata poirotta da qualche teppista )? Che importava in fondo se quella storia che aveva raccontato al ragazzo era frutto della fervida fantasia di una scrittrice dilettante? Quel ragazzo aveva bisogno di un esempio da seguire, di qualcosa che risvegliasse il suo orgoglio, e lei aveva fatto in modo di procurergliela. Forse lo aveva salvato, e questo la rendeva molto orgogliosa.





EPILOGO

Il cimitero nella periferia di New York, all'alba, riluceva per la neve; a quell'ora l'atmosfera non appariva tetra, anzi, l'aria fresca e il silenzio davano una forte sensazione di pace. Il camposanto era vuoto, deserto. Apparteneva solo ai morti.

O quasi.

Infatti davanti ad una delle tombe c'era una figura vestita con vecchi abiti, che guardava con occhi pensierosi la lapide.

Mark non aveva dormito per niente quella notte, e non era neanche tornato a casa: era arrivato a piedi fino al cimitero, ed era rimasta ore intere davanti alla tomba di sua nonna, a ricordare i tempi felici; la decisione che aveva preso la sera precedente si era, se possibile, rafforzata ancora di più: lo doveva anche a quella donna che riposava sotto quella lapide, che aveva sofferto tre anni per tenere unita la loro famiglia.

Ormai però era ora di tornare: i suoi fratelli dovevano essere molto preoccupati per lui.

Si avvicinò alla lapide e dette un bacio alla foto di sua nonna dicendo:- Mi dispiace di aver pensato di arrendermi, nonna. Mi dispiace se ho creduto che non ci fosse speranza. Tu ti sei consumata per darci una possibilità, per riuscire a mantenere unita la nostra famiglia, ed io non posso mandare tutto al diavolo solo perché ho paura della responsabilità. Stai tranquilla, nonna: questa notte qualcuno mi ha fatto aprire gli occhi, ed ora sono pronto a lottare; farò tutto ciò che posso per far si che Brett e Sarah possano avere un futuro. Te lo prometto, nonna. Ce la faremo. Io non mi arrenderò mai. Mai!

E, asciugandosi una lacrima, Mark si voltò e, mentre un sorriso increspava il suo volto illuminato dall'alba, uscì dal cimitero, incamminandosi verso il fuuro.



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20/05/2007 17:17
 
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Forse non sarà il mio migliore spot di sempre, ma è certamente migliore dell'ultimo che ho fatto; ci ho lavorato un sacco, quindi per favore COMMENTATE!
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Ti dirò che a me piacciono davvero molto questi spot che sembrano romanzi molto concisi, non annoia nonostante la lunghezza ed anzi coinvolge molto il lettore questa storia. Si, sicuramente un bel lavoro, per questo S.O.T.R la gente tira fuori il meglio di se! Complimenti!
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23/05/2007 14:30
 
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quasi risquotendosi da un sogno

ahia...

sinceramente questo spot con Harrison versone libro cuore nno mi è piaciuto più di tanto, e parecchi errori di battitura e quell'orrore che ho citato me l'hanno affossato parecchio. peccato.
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è stato lo spot più difficile da leggere per me, non tanto perché fosse complesso, quanto più per il tema centrale.
Sicuramente una bella storia, ma di quelle che devono prenderti per essere apprezzate davvero. In tutti i casi, voglio riconoscere che c'è stato un notevole impegno da parte di Marco.
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Re:

Scritto da: HHHThegame 23/05/2007 14.30
quasi risquotendosi da un sogno

ahia...

sinceramente questo spot con Harrison versone libro cuore nno mi è piaciuto più di tanto, e parecchi errori di battitura e quell'orrore che ho citato me l'hanno affossato parecchio. peccato.



Libro cuore?!?!

Dici che l'ho fatto un po' troppo sentimentale?

E meno male che mi sembrava di aver avuto una buona idea, invece me lo affossano tutti! [SM=x1183767]
Quanto agli errori di battitura, ho una ottima giustificazione: ho Microsoft Word a pezzi, e l'unica alternativa che possiedo è un programma che non mostra gli errori. Purtroppo non posso rileggere il mio spot parola per parola, non ne ho il tempo.

E io che puntavo alla finale, mi sa tanto che dovrò veramente prendere provvedimenti drastici per Harrison se va male anche a questo giro, così non si va avanti.
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Re: Re:

Scritto da: =Marco89= 23/05/2007 17.12


Libro cuore?!?!

Dici che l'ho fatto un po' troppo sentimentale?

E meno male che mi sembrava di aver avuto una buona idea, invece me lo affossano tutti! [SM=x1183767]
Quanto agli errori di battitura, ho una ottima giustificazione: ho Microsoft Word a pezzi, e l'unica alternativa che possiedo è un programma che non mostra gli errori. Purtroppo non posso rileggere il mio spot parola per parola, non ne ho il tempo.

E io che puntavo alla finale, mi sa tanto che dovrò veramente prendere provvedimenti drastici per Harrison se va male anche a questo giro, così non si va avanti.



ma non è un brutto spot, ci mancherebbe altro. [SM=g27811]
Il punto è che era un po' pesantuccio, ad esempio Wordlife l'ha trovato molto scorrevole. Non tutti commentano, io lo faccio sempre perché mi piace dire la mia e soprattutto aiutare quando posso.
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23/05/2007 17:32
 
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Mah...speriamo bene quì mi sembra che Harrison sia sempre più impantanato. Se fa una figuraccia anche a questo ppv ho seri dubbi che ce ne sarà un'altro, uno che perde tre ppv di seguito merita di uscire dal giro grosso.
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23/05/2007 20:34
 
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Re: Re:

Scritto da: =Marco89= 23/05/2007 17.12


Libro cuore?!?!

Dici che l'ho fatto un po' troppo sentimentale?

E meno male che mi sembrava di aver avuto una buona idea, invece me lo affossano tutti! [SM=x1183767]
Quanto agli errori di battitura, ho una ottima giustificazione: ho Microsoft Word a pezzi, e l'unica alternativa che possiedo è un programma che non mostra gli errori. Purtroppo non posso rileggere il mio spot parola per parola, non ne ho il tempo.

E io che puntavo alla finale, mi sa tanto che dovrò veramente prendere provvedimenti drastici per Harrison se va male anche a questo giro, così non si va avanti.




l'idea era buona, ma mi ricordava troppo i cartoni animati quando il protagonista è giu e arriva qualcuno a salvarlo...

magari una sorta di lieto fine che poi tanto lieto nn era ci stava bene, con Harrison che magari sembrava tornasse al cimitero ma lungo la strada si fermava in un altro pub e si ubriacava lì, l'avrei trovato più originale...

poi, de gustibus.

cmq, quando ci sei e mi trovi con lo status libero chiamami su msn e parliamo del rinnovamento di Mark [SM=x1183762]
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Re:

Scritto da: =Marco89= 23/05/2007 17.32
Mah...speriamo bene quì mi sembra che Harrison sia sempre più impantanato. Se fa una figuraccia anche a questo ppv ho seri dubbi che ce ne sarà un'altro, uno che perde tre ppv di seguito merita di uscire dal giro grosso.



Tze, non diciamo puttanate...
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Re: Re:

Scritto da: Kurtangle86 24/05/2007 1.24


Tze, non diciamo puttanate...


Insomma pensaci un attimo: da quando ho vinto il titolo non ho più compicciato nulla: prima le ho prese da Stivi, poi da Garet, se ora le prendo anche a questo PPV è giusto che esca dal giro grosso.
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Re:

Scritto da: =Marco89= 23/05/2007 17.32
Mah...speriamo bene quì mi sembra che Harrison sia sempre più impantanato. Se fa una figuraccia anche a questo ppv ho seri dubbi che ce ne sarà un'altro, uno che perde tre ppv di seguito merita di uscire dal giro grosso.








Seguendo il tuo ragionamento Roman in questo momento dormiva sotto ponte Milvio nutrendosi di letame e spazzatura. [SM=g27828]
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Re: Re:

Scritto da: IL TAGLIAGOLE CANADESE 24/05/2007 14.53







Seguendo il tuo ragionamento Roman in questo momento dormiva sotto ponte Milvio nutrendosi di letame e spazzatura. [SM=g27828]



Perchè? Non lo fa? [SM=x1183764]
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Mah...insomma, il mio spot non è piaciuto proprio a nessuno?
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Marco, uno spot che non piace è uno spot che prende la sufficienza tirata. Questo non è uno spot da sufficienza tirata, solo che parliamo con te così perché sappiamo benissimo il tuo potenziale che hai già mostrato diverse volte.

è vero, si può perdere spesso in ppv, Roman fu trasferito a Death Shiver quando non ingranava, poi è tornato e gli è andata bene perché si è dedicato fino a farcela. Lui è un caso su tanti altri.
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