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Tutti gli uomini di Hugh Perenzio [Spot Stivi x S.O.D.]

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2007 22:57
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12/04/2007 14:54
 
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Tutti gli uomini di Hugh Perenzio.

[Riassunto degli spot precedenti: Stivi, dopo essere stato soccorso nel suo tentativo di suicidio e successivamente curato, scopre che il suo salvatore in realtà è un uomo del suo acerrimo nemico Hugh Perenzio, che lo incatena nella cantina della casa; ma la scoperta più sconvolgente di Stivi è che sua sorella Melody è ancora viva, e per di più non solo lavora ancora per Perenzio, ma ne è pure la sua amante. Stivi riesce però a lberarsi e, dopo aver ammazzato l’uomo di Perenzio, decide di scappare, perchè si sente braccato. La sua fuga lo porta in Groenlandia, ma Perenzio getta la sua ombra anche lì, mandando a fuoco il villaggio di Haven e massacrandone tutti i cittadini. Stivi decide perciò che è tempo di tornare in America ed affrontare il nemico.]


19. Ernest Plymooth.


Guarda l’orologio, Ernest Plymooth, e l’orologio dice che è quasi l’una di notte. Il tempo del sonno è dunque giunto. È appena rientrato in casa, ha mangiato in fretta pollo freddo che ha trovato in frigo, quindi non resta che coricarsi. Dopo che le coperte lo hanno avvolto, del giorno non rimane più traccia, ed è l’unico modo per sconfiggere eventuali sensi di colpa. La tratta delle bianche, così come chiamano quel business i ben pensati, fautori del politically correct, non è lavoro per un uomo preda di ripensamenti. Devi solo dimenticare il giorno quando lo vedi finire, e avvolto nel sonno non cercare nessun senso a ciò che stai facendo. Non pensare a quegli occhi di sedicenne consapevoli di ciò che sta per accadere, di quale futuro attenda la loro giovane e sventurata proprietaria, un futuro fatto di strade gelide e luride stanze d’hotel, di clienti violenti, paranoici, semplicemente gettati in pasto ad una vita di margine, che devono trovare sfogo e non lo trovano se non pagandolo. Come lo chiamano i benpensanti? Tratta delle bianche. Sono i primi a servirsi del raket e dei suoi effetti. Che usino le parole che vogliono! La loro coscienza rimane tetra.

Una volta, Ernest era un uomo retto. Da qualche parte c’è una ex moglie con un paio di figli, e tutti e tre potrebbero confermare che Ernest ha un passato da buon cittadino. Cosa è successo? Non esistono solo storie straordinarie da trattare, ma anche storie banali, quotidiane più dei quotidiani che a volte le raccontano. E questo è il caso: Ernest Plymooth ha semplicemente perso il lavoro. Capocantiere in una fabbrica di macchine industriali, ha visto quella stessa azienda ripiegarsi su se stessa alla fine del millennio scorso; quindi è arrivato il crack finanziario di Enron, connesso all’11 settembre, e le azioni della sua azienda sono crollate in borsa con la velocità di un respiro affannoso. Ernest si è trovato a quarantaquattro anni senza un lavoro, con un mutuo da pagare, e una famiglia da mandare avanti. E in tutto questo interviene Hugh Perenzio. Non lo ha mai visto in faccia, non lo ha mai incontrato personalmente. Abile e letale come una tarantola, si è nascosto bene nel suo buco, mandando avanti i suoi emissari. Gli hanno proposto il lavoro. Di fronte alle sue necessità, ha gettato nel fuoco una educazione di stampo rigido, quasi veterofascista, una serie di regolette morali di stampo religioso inculcate a forza nell’età adolescenziale. Ed ha scelto la via del peccato. Peggio: ha scelto la via del crimine, della segretezza e della criminalità. Quando lo è venuta a sapere, sua moglie ha preso con sè i figli e se ne è andata lontano, chissà dove, non ha più rivisto nessuno di loro. Ha minacciato di denunciarlo ma deve esserle rimasto appiccicato addosso un velo d’amore latente, come una fronte imperlata di sudore, e non l’ha mai fatto. È sparita. Ha dimenticato di avere avuto una vita assieme a quell’uomo. O se non l’ha fatto, è stata abile nel farglielo credere.

Ma questa notte il sonno è una musa volubile. Tarda ad arrivare, chissà perchè. Ernest avverte qualcosa di sbagliato in quella oscurità, in quella stanza che conosce a menadito. I bastardi come lui sanno riconoscere le sensazioni come autentiche. Ma non queta sera. Forse sarà la stanchezza, forse sarà la pigrizia, ma reputa questa suo presentimento come qualcosa di simile alla paranoia. Sente che qualcosa sta per accadere, ma non ci bada. C’è solo un avvenimento possibile: l’assopirsi della mente nell’oblio appagante del sonno. Chiude gli occhi, ascolta la sveglia tichettare nel silenzio. Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac. Il ritmo cadenzato come un bel brano swing. Apre gli occhi e il quadrante fosforescente gli consente di conoscere l’orario anche al buio. Guardiano, a che punto è la notte? E il guardiano risponde: le due meno un quarto, appena iniziata. È stata una giornata pesante. In qualche modo, Ernest riesce ad assopirsi. Tutto questo mentre l’armadio a muro, di fronte al letto, si apre silenzioso nel buio e un frullare d’ali si sparge nella stanza, non udito dall’uomo.

Ernest si sveglia alle quattro passate da poco, convinto di aver sentito un rumore di passi nella stanza. Si mette a sedere nel buio, quindi resta in ascolto. Niente, nessun rumore. Si convince di aver sognato, e dopo un rapido sguardo alla sveglia (per sincerarsi di quanto gli rimanga ancora da dedicare a quel sonno tormentato), torna a poggiare la testa sul guanciale. Sta per assopirsi, quando di nuovo sente il rumore di passi, e trasale.

“Chi c’è?”
Una voce risponde: “Ssssst...”
“Chi diavolo sei, bastardo!”
“Perchè non accendi la luce, invece che sbraitare? È più semplice.”

Ernest allunga la mano e trova l’interruttore. La camera viene inondata di luce che trafigge i suoi occhi. Il suo interlocutore, invece, sembra terribilmente a suo agio quanto nella luce tanto al buio.

“Che vuoi?” chiede Ernest, con la voce tremante. “Vuoi soldi? Se qui a cercare denaro?”
Il ragazzo di fronte a lui fa segno di no con entrambi gli indici.
“E allora?”
Il ragazzo lo guarda con un sorriso pazzo nel volto. “Diciamo che sto cercando informazioni.”
“Informazioni? Che genere di informazioni cerchi da me?”
“Voglio sapere dove si trova Hugh Perenzio.”
Ernest scoppia in una risata e nel farlo alza lo sguardo al soffitto: l’ilarità gli muore in gola. “Oh mio dio!” esclama, inorridendo. Il soffito è pieno... di più, brulica di pipistrelli, ributtanti ratti con le ali.
Il ragazzo si accende una sigaretta come se niente fosse. “Pipistrelli vampiri, Ernest. Sono una razza rarissima. Ma se sai cercare, puoi trovarne quanti te ne servono. E addestrati. Ora, vedi questo?” Il ragazzo estrae dalla tasca una strana forma di fischietto. “È un fischietto ad ultrasuoni. Mi basta suonarlo, per fare in modo che qui dentro si scateni l’inferno. Oh, sono troppo poetico oggi! Diciamo che hanno sete, d’accordo? Se non mi dici dove si trova Perenzio, io lo suono.”
“Come... hai fatto... a trovarmi... a sapere che...”
Il ragazzo si pone il fischietto vicino alle labbra. “Devo suonare?”
“No! No... D’accordo, d’accordo ma...”
“Ma?”
“Non è semplice. Io non ho mai visto Perenzio. La sua... ehm... società lavora per livelli. Ogni livello conosce quello superiore, fino ad arrivare a lui. Io ti posso solo consigliare di andare da Pierre Lombercard. È di origini francesi.”
“Fosse anche del Botswana, a me non interessa. Dove lo trovo?”
“C’è una bisca clandestina... Poker... Scommesse sui cavalli... La gestisce a nome di Perenzio. Canary Street, mi pare il numero 107.”
“Ti pare?”
“Il numero 107... Sono sicuro... il numero 107.”
Il ragazzo si avvia alla porta, la apre e si porta il fischietto alla bocca.
“No, avevi detto che non l’avresti fatto se...”
Il ragazzo guarda verso il soffitto e sorride di scherno. “Non ho voglia di portarmeli dietro. Senza rancore...”
Stivi suona il fischietto, quindi richiude la porta rapidamente. Da dentro la stanza, un frullare d’ali e alcune grida umane. Ma dura pochi secondi, quindi il silenzio.


20. Pierre Lombercard.


Il Fanatic’s un tempo era ciò che apparentemente sembra ancora essere: un locale di spogliarelliste. Ma adesso gli spogliarelli sono una copertura. Nel retro del locale si organizzano bische clandestine di giocatori di poker, e si puntano soldi su qualsiasi cosa si possa scommettere. Un tizio proveniente dall’Oregon si è giocato la casa nello scommettere che Al Gore avrebbe vinto le elezioni contro George W. Bush nel 2001. C’è chi dice che, con buona pace della democrazia, le elezioni siano state influenzate anche da scommesse di questo tipo. Ma come mai il Fanatic’s è diventato un covo di giocatori e scommettitori? Semplicemente, un giorno Pierre Lombercard si è stancato di pagare il pizzo agli scagnozzi di Perenzio e ha avuto la faccia tosta di chiedere cosa doveva fare per entrare nel giro. Avrebbe potuto trovarsi con la gola tagliata di netto per una richiesta simile, ma indebitato com’era sarebbe stata solo una scorciatoia per uscire dall’inferno. Dopo due giorni sono arrivate, tramite messaggero, le istruzioni da parte di Hugh Perenzio. E da allora sono passati quasi sette anni, pieni di benefici economici e non solo. Il fratello di Lombercard è diventato Vicesindaco della città. Ancora una volta, con buona pace della democrazia...

“Quanto abbiamo raccolto con le scommesse?” chiede Pierre a Helmut, suo collaboratore di fiducia.
“Meno del solito, purtroppo...”
“Dannazione, vi avevo detto di alzare le quotiziani di Cristallo nella gara di domani. È il favorito numero uno.”
“Ma se poi vince, ci troveremo a pagare una cifra...”
“Idiota, possibile che non hai ancora capito come funzionano le cose? Sarà drogato...”
“Ah!”
“E poi si farà in modo che vinca Red Jet per un paio di corse, in modo da far alzare le quotazioni su di lui. E quando saremo soddisfatti delle puntate...”
“Lo faremo perdere. Ho capito.”
Grant, il guardaspalle di Pierre, se ne sta appoggiato alla porta che da sul retro, e le sue orecchie non ascoltano la conversazione. È da troppo tempo nel giro per non capire che per soppravvivere in quell’ambiente, la discrezione è tutto.
Ad un certo punto.
TUMP!
TUMP!
“Chi è?” chiede Grant, con fare minaccioso.
“Vai a vedere,” suggerisce Pierre.
Grant esce, ma non c’è nessuno. Guarda a destra: solo la strada. Guarda a sinistra: notte e freddo.
“Non c’era nessuno, capo.”
“Qualche burlone o qualche ubriacone di passaggio. O entrambe le cose.”
Ma...
TUMP!
TUMP!
Grant si precipita fuori con furia, ma ancora una volta non vede nessuno. Nè a destra nè a sinistra.
“Ma che diavolo...” esclama Grant rientrando.
“Lascia perdere. Rimani vicino alla porta. E tu passami quei verdoni, che li voglio contare sulle mie dita.” Che sono quattro, mancandogli l’indice.
TUMP!
TUMP!
TUMP!
Con insistenza stavolta. Quasi con impazienza.
Pierre si alza di scatto. “Vado io, Grant. Questa cosa non mi piace.” Si dirige alla porta. “Voi chiudetevi dentro e aspettate...”
Pierre esce in strada e non vede nessuno. È la notte l’unica entità con cui potrebbe parlare, e lui ne conosce ambiguità e pericolosità. Ad un certo punto, sente qualcosa che gli irrita la pelle del collo e sta per fare un movimento inconsulto.
“Ah-ah-ah... Ti consiglio di stare fermo, Pierre Lombercard. Hai sul collo un ragno velenosissimo. Il suo morso è letale: provoca la paralisi del sistema nervoso.”
“Chi sei? Sei forse il farabutto che ha ucciso Ernest?”
“Qui le domande le faccio io, altrimenti ti scuoto forte permettendo al mio amico di darti una bella morsicata, okay?”
“O... okay...”
“Voglio arrivare al livello superiore.”
“Al livello... superiore?”
Il ragno intanto è arrivato a camminare sul suo mento, gelido come la paura.
“Non fingere di non capire. Nella combricola di Perenzio. Qual è il livello superiore?”
“Si chiama... si chiama Verne Patriz Martinez... Toglimi... toglimi questo schifo di dosso...”
Il ragno è arrivato all’altezza dell’occhio destro di Pierre. Lo vede soffermarsi nel suo campo visivo.
“Dov’è di casa, di grazia?”
“Se ti sbrighi, lo trovi ad una festa... A Marple Street... Nella villa... del Senatore Mutra.”
“Grazie...”
Stivi scuote con forza Pierre, e l’aracnide reagisce mordendo l’uomo direttamente nell’occhio destro.
“Au revoir, messier...”
Dieci minuti dopo, Grant e Helmut troveranno Pierre steso per terra stecchito, con un grosso ragno a camminargli sulla schiena.


21. Verne Patriz Martinez.


La festa del Senatore Mutra a Verne non interesserebbe nulla, se non fosse lui a seguire i loschi contatti di potere di Hugh Perenzio. Stringere mani, sorridere, parlare con donne cinquantenni stolte che credono ancora di essere avvenenti come quando avevano vent’anni (e per questo sempre pronte alla cornificazione dei loro facoltosi e potenti mariti), gli crea un nervosismo tale che solo un paio di Martini con oliva e mezzo pacchetto di sigarette possono lenire. Stasera poi il nervosismo è doppio. Perenzio lo ha appena chiamato dicendogli che Ernest Plymooth e Pierre Lombercard sono morti. Assassinati. La parola gli ha fatto gelare il sangue nelle vene. Avviene il momento del riflusso negli ambienti della malavita? Qualcuno sta cercando di spodestare Hugh Perenzio dal suo trono di boss incontrastato della città? Ad aggravare la situazione, la supposizione di Mr. Perenzio riguardo al fatto che a compiere il duplice omicidio sia stata una persona sola, e che questa possa arrivare a lui durante la serata.
“Se lo dovessi incontrare,” ha detto Perenzio, “fatti portavoce di questo messaggio.”
Verne Patriz Martinez ha ascoltato ogni singola parola, memorizzandole tutte. Sa quanto Perenzio tenga alla precisione. Allo stesso tempo, si è augurato ad alta voce che questo tizio non si presenti al suo cospetto.
“Verrà,” l’ha tutt’altro che rincuorato Perenzio, con il suo solito pragmatismo che Verne gli odia. “Se è chi credo che sia, verrà senz’altro.”
E la comunicazione si è subito interrotta.

La festa comunque scivola tranquilla. Verne non ha l’impressione di vedere volti sospetti, e nessuno lo avvicina con fare ambiguo o minaccioso. Le facce che vede sono per la maggior parte note. E comunque, di che ha paura? Ci vuole un invito per entrare in una festa del genere, e la sicurezza non lascerà passare nemmeno una mosca senza che esibisca le proprie credenziali. Non in questi giorni di terrorismo internazionale. All’improvviso, si sente in una botte di ferro. Non verrà, si ripete. Qua dentro non può entrare.
I minuti passano. Le ore passano.
Stringe tutte le mani che riesce a stringere e sorride a tutte le facce importanti della città che incontra. Riesce ad ottenere il colloquio privato con il Senatore, con cui getta le basi per uno o due affari d’importanza imminente, quindi si attarda ancora un po’ alla festa per non dare l’impressione di essere venuto solo per questo. Ovviamente il Senatore ne è consapevole, ma ci sono delle regole di decoro non scritte che si devono rispettare. Stringe ancora qualche mano, ancora qualche sorriso, quindi saluta calorosamente il Senatore, lodandolo per la festa, per la villa e per “come si mantiene giovane vostra moglie”, tutte spudorate menzogne, specie l’ultima.
Finalmente esce.

Mentre si avvia verso l’auto, una leggera pioggerella fastidiosa lo coglie. Affretta il passo e arrivato alla Mercedes vede che il suo autista sta dormendo con la visiera del berretto a coprirgli il volto. Verne sale e batte il pugno sul vetro che separa i sedili posteriori dalla zona conducente. L’autista pigia un pulsante e il vetro si abbassa rapido.
“Sì, signore?”
Non c’è qualcosa che non va nel tono della voce dell’autista? Verne si convince che la sua è solo paranoia.
“Che domande. Portami a casa.”
“A casa, signore? Io non credo...”
“Ma che cazzate vai dicen...”
Si blocca. L’autista si è tolto il cappello, si è girato e non è un volto noto. Che sia lui l’assassino di Ernest e Pierre? Verne pone una mano al pulsante per rialzare il vetro di divisione.
“Lascia perdere, Verne. L’ho messo fuori uso. Solo il mio funziona.”
“Io...”
“Tu fai il bravo e mi dici dove posso trovare il nostro comune amico Hugh Perenzio, altrimenti... Li vedi questi?” Il ragazzo solleva una piccola teca di vetro con dentro degli insetti brulicanti. “Sono calabroni. Ma non due o tre. Migliaia, Verne. Il veleno che riuscirebbero ad inniettarti ti ucciderebbe in pochi minuti. Dunque... torniamo al quesito originale: dov’è Hugh Perenzio?”
“Aspetta... Aspetta... Hugh sospettava... sospettava che tu saresti arrivato a me. Ha un messaggio per te...”
“Non esitare.”
“Ha detto... ha detto che lo puoi trovare nella fabbrica in cui è avvenuto il vostro primo incontro, d’accordo? E ora, ti prego, metti via quelle bestiacce.”
“Ma loro hanno voglia di volare!”
Stivi toglie la sicura alla teca e la getta nel sedile posteriore, alzando subito il vetro di separazione. La teca si apre e migliaia di calabroni inferociti se la prendono con la prima cosa viva che incontrano, colmi di letalità. Verne subisce migliaia, forse decine di migliaia di punture, agitandosi e gridando. Poi, mentre il veleno lo sta uccidendo lentamente, sente che l’auto sta partendo per una destinazione a lui ignota. Ma a Verne Patriz Martinez non interessa più.
Stivi non ha il tempo di valutare se la sfida lanciatagli da Perenzio è una trappola o meno. Ha un solo obiettivo. Se chiude gli occhi, vede solo il rosso della rabbia.


22. Estremo sacrificio.


Dove tutto ha avuto inizio.
Stivi guarda la fabbrica diroccata dove la sua vita è cambiata, mesi fa. In questo luogo sono iniziati i suoi problemi: i vuoti, la confusione del dolore fisico con il piacere, l’instabilità emotiva. Ma adesso è una persona diversa, con una nuova forza psichica. In una gelida giornata d’inverno, nell’arida Groenlandia, con gli artgli e le fauci di un orso a martoriargli il fisico, ha scoperto la straordinaria forza innarrestabile degli animali. Ed è diventato un po’ come loro. Istinto e letalità, conservazione e difesa del proprio habitat, necessità e essenzialità; questa la sua trasformazione. Non c’è più complesità nel suo ragionare e nel suo agire. Solo l’istinto è dettame di astuzia, come per la volpe. E lo stesso discorso vale per tutte le altre sesanzioni: ferocia, calma serafica, furia, pazienza; tutto dettato da una spinta di tipo istintivo.
E da qualche parte, a completarlo, un cervello che ragiona per equazioni semplici.
Stivi entra nella fabbrica, trascinandosi appresso qualcosa di pesante. Gli ambienti dello stabilimento sono bui, ma lui non avverte pericolo. Ritiene sia tutto a posto.
“Perenzio!” grida. “Perenzio, dove sei? Ho qui qualcosa per te!”
E dicendo questo, getta il cadavere di Verne Patriz Martinez un passo davanti a sè, gonfio delle punture di migliaia di calabroni, i lineamenti quasi irriconoscibili.
La voce di Hugh Perenzio si fa strada nel buio. “Ho anch’io qualcosa per te.”
Stivi sta per chiedergli di mostrarsi, ma un faretto si accende e la scena che gli rivela non può che fargli pronunciare, asettico e senza emozione, un solo nome: “Melody.”
La sfigurata sorella è legata e imbavagliata ad un nastro trasportatore, che conduce fino all’imboccatura di un alto forno. Lo sportello dell’altoforno è chiuso, ma il buio che lo attornia aiuta Stivi a capire che è stato rimesso in funzione e che le fiamme di un piccolo inferno stanno scalpitando vivaci al suo interno.
“Ho una sfida da proporti, ragazzo...” dice Perenzio dall’oscurità.
“Anch’io. Io e te. Adesso. Disarmati. Fatti vedere, bastardo.”
Perenzio ride divertito, la sua risata rimbomba negli ambienti. “Mi credi un imbecille? Non avrai me, stasera, ma qualcun altro. Ragazzi, fatevi avanti!”
Dall’oscurità emergono quattro energumeni, due disarmati, come aveva chiesto Stivi, altri due armati: l’uno di manganelli, l’altro di una mazza di ferro.
“Che diavolo significa?”
“Molto semplice, ragazzo. Sfidali e battili.”
“E in caso contrario?”
“Tua sorella Melody finirà tra le fiamme dell’altoforno.”
Stivi guarda la sorella, quindi rivolge lo sguardo verso l’oscurità da cui proviene la voce di Perenzio.
“Puoi fare ciò che vuoi di lei. A me non interessa più.”
“Come vuoi.”
Lo sportello si apre e il nastro trasportatore si mette lentamente in moto. Melody è terrorizzata, le lacrime cominciano a scorrerle lungo le guance, mentre le fiamme si avvicinano a lei. Guardando quel volto disperato, in Stivi scatta qualcosa, un rimasuglio d’affetto che provava per lei quando ancora il suo volto era immacolato, e scopre che non può... non può permetterlo!
“Fermo!” grida a Perenzio, ovunque sia. E il nastro trasportatore si ferma all’istante.
“Questo significa che accetti?”
“Accetto. Qualsiasi siano le conseguenze.”
Segue un attimo di silenzio, poi la voce di Perenzio torna a farsi sentire. “Le conseguenze sono molto semplici. Tu hai ucciso uomini a cui io tenevo professionalmente, io stasera ucciderò una persona a cui tieni sentimentalmente. Per evitarlo... battiti con i miei ragazzi, sconfiggili!”
Non è molto equo, ma si sarebbe mai aspettato qualcosa di equo da parte di un criminale della stazza di Hugh Perenzio? La mafia si vendica per vie trasversali. Si mette in posizione, attende che siano loro i primi ad attaccare. Se fosse lui a fare la prima mossa, non avrebbe scampo. Il più grosso dei due disarmati, con una profonda cicatrice su di una guancia, lo attacca con furia, ma lui evita e sferrandogli un paio di pungi allo stomaco e un calcio ben assestato al mento, lo stende. Si fa avanti il secondo: bandana e camicia in jeans. Stessa sorte: qualche pugno, un paio di calci, ed è Knock Down! Sta andando bene, pensa. Sta andando tutto bene. Ma è un pensiero stupido, frettoloso. Perchè, nel momento in cui cerca di evitare il colpo di mazza d’acciaio, ecco che l’altro sgherro di Perenzio, armato di manganelli, fa saggiare alla sua schiena la sua pesante arma. Da quel momento in poi, le scene per Stivi si confondono una sull’altra. Gli scarponi affondano sul suo volto, nel suo stomaco, sulla schiena. Lui prova un misto di dolore e piacere talmente potente che non riesce a distinguere l’uno dall’altro, in un flusso continuo di sensazioni alterne. Ma il sangue comincia a sgorgare, e il fiato a morirgli nel petto, e non può provare nessuna reazione.
Perenzio sentenzia: “Basta così, ragazzi. Lasciatelo stare.” Poi: “Hai perso, Stivi, e come pattuito all’inizio, la sfida ha un prezzo...”
Gli scagnozzi di Perenzio lo alzano, cosicchè lui possa vedere la sorella trasportata verso le fiamme, mentre lui grida: “Melody! Melody! Melodyyyyyy!” e la vede sparire tra le fiamme, un momento prima che lo sportello si richiuda.
Gli sgherri lo lasciano andare.
“NOOOOOOOOOOOOOOO!” grida e striscia verso lo sportello, tenta di aprirlo. Le sue mani si ustionano, ma che importa? Non è il dolore fisico quello di cui ha paura. Prova per qualcosa come un’eternità ad aprire quella lastra di metallo, ma poi desiste, perchè un lume di razionalità gli suggerisce che non c’è più niente da fare. Allora si inginocchia a terra, piange lacrime che credeva di non avere più. E dopo il pianto, la rabbia:
“Perenzio, dannato bastardo! Lei ti amava, stronzo! Hai capito? Ti amava e l’hai uccisa! Vieni fuori, figlio di puttana! Vieni fuori e fatti punire per questo!”
L’uomo con la cicatrice sulla guancia gli si avvicina, con un sorrisetto sarcastico. “Se n’è andato, pidocchio. A lui, tu non interessi affatto. Sei solo una piccola merda nel letamaio del mondo. E ti conviene girargli al largo, se non vuoi nuove... conseguenze!”
L’uomo gli sferra un pugno in pieno volto che lo manda steso sul pavimento freddo e impolverato. E mentre Stivi ascolta i passi degli sgherri di Perenzio allontanarsi, si rannicchia in posizione fetale e cerca quelle lacrime di sfogo che non sembrano arrivare.
Sconfitto.
Ancora una volta.
Dove tutto ha avuto inizio...

[Modificato da stivi handler 12/04/2007 14.56]

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Perché Stivi mi da' l'impressione di essere come un certo Frank Castle?
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Re:

Scritto da: Goroshi 12/04/2007 18.46
Perché Stivi mi da' l'impressione di essere come un certo Frank Castle?



E chi è?
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Re: Re:

Scritto da: stivi handler 12/04/2007 18.49


E chi è?


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xke stivi mi dà l'impressione di un'handler con poca exp ma con una bravura mostruosa con gli spot?
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Re:

Scritto da: the legend killer of raw 12/04/2007 23.40
xke stivi mi dà l'impressione di un'handler con poca exp ma con una bravura mostruosa con gli spot?



Thanks, legend! [SM=g27811]
Ma sei bravino anche tu... [SM=g27811] [SM=g27811]
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Re: Re:

Scritto da: stivi handler 13/04/2007 0.19


Thanks, legend! [SM=g27811]
Ma sei bravino anche tu... [SM=g27811] [SM=g27811]



quel bravino lo rimangerai quando vincerò al prossimo PPV DS! [SM=x1183765]

[Modificato da stivi handler 13/04/2007 14.30]

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lo leggo solo se c'è doggy [SM=x1183762]
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Re: Re: Re:

Scritto da: the legend killer of raw 13/04/2007 0.28


quel bravino lo rimangerai quando vincerò al prossimo PPV DS! [SM=x1183765]

[Modificato da stivi handler 13/04/2007 14.30]




L'ho modificato perchè era spoiler, legend!
Quella stipula non l'abbiamo ancora annunciata! Fai attenzione, please...
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Re:

Scritto da: HHHThegame 13/04/2007 0.35
lo leggo solo se c'è doggy [SM=x1183762]



No, non c'è, ma tu lo leggi lo stesso! [SM=x1183762] [SM=x1183762] [SM=x1183762]
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Re: Re: Re:

Scritto da: the legend killer of raw 13/04/2007 0.28


quel bravino lo rimangerai quando vincerò al prossimo PPV DS! [SM=x1183765]

[Modificato da stivi handler 13/04/2007 14.30]


[SM=x1183776] , col cazzo che vinci [SM=x1183764]
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Re: Re: Re:

Scritto da: Goroshi 12/04/2007 19.55




Ah, the punisher I suppose...
Non seguo i Marvel, a parte Spawn.
Comunque no, l'idea di base è diversa, ma non posso anticipare...
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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: The Andretaker 13/04/2007 14.33
[SM=x1183776] , col cazzo che vinci [SM=x1183764]



Usate la feud zone per insultarvi, via!
E commenta, Dero! [SM=g27828]
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Re: Re:

Scritto da: stivi handler 13/04/2007 14.32


No, non c'è, ma tu lo leggi lo stesso! [SM=x1183762] [SM=x1183762] [SM=x1183762]



no doggy, no party [SM=x1183763]
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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: The Andretaker 13/04/2007 14.33
[SM=x1183776] , col cazzo che vinci [SM=x1183764]



da quando Bass usa un cazzo come arma contundente?
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