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Al di là dei concetti di solitudine e folla [Spot Canzano X S.O.D.]

Ultimo Aggiornamento: 27/04/2007 22:22
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Al di là dei concetti di solitudine e folla.

La mia esistenza esiliata dal nucleo che mi ha accolto per tanti anni non sta vagando indefessa nella ricerca del consaguigno, del ricongiungimento; non si sta macerando nella incapacità di stare con me stesso, cercando di uscire dal bozzolo del niente, ricercando un tutto negato. Sono stato esiliato dalla mia gente, additato come causa di un’epidemia di cui io non conoscevo nemmeno l’esistenza, un morbo a me ignoto, un nome latino impronunciabile. Eppure non cerco il ritorno, se ho l’aria attorno, molecole di ossigeno che condensano nelle mie narici l’opportunità di continuare a respirare. Io esisto a prescindere da tutto e tutti. Nel mio pensiero che si sposa con la natura incontaminata, io trovo stimoli quotidiani per accettarmi, e con l’accettazione di me stesso, accettare la vita, senza deprecarla. Nessuno mi stende, e le parole d’altri che non mi circondano da tempo non possono elevarmi. Vivo nell’impossibilità del contrasto, se non il mio unico contrasto interiore, vissuto come possibilità di dialogo con me stesso, non come limite. Il limite è credersi un ego integerrimo, inossidabile, essere l’Uno che non può appartenermi.

Io non sono solo. Io sono la moltitudine.

Eccola andata. Che? La folla. Con la sua banale volgarità quotidiana: laddove parla, strepita; laddove tace, sprofonda. Laddove si esprime, viene giudicata; laddove tace, sopraffatta. Ne ho necessità? Il giudizio degli altri è debole, perchè univoco. Io posso giudicare di volta in volta me stesso, ogni volta in maniera differente, credendomi un determinato Es, poi scoprendone uno nuovo, inedito. La folla non esiste così. Laddove pensa, è condizionata; laddove rifiuta la meditazione, è radiocomandata. Io esco da ogni potere che può portare la comunicazione e lo scambio d’idee. Io le idee le scambio con me stesso; e quando di idee non ho necessità, mi affido ai bassi istinti vitali: nutrirmi, riposarmi. Nemmeno riprodurmi è più uno stimolo primordiale. Perchè sentire il bisogno di rivedermi riflesso in una nuova vita? Io ho già dentro di me tutti i riflessi che voglio cercare, mutevoli, a volte inafferrabili, proprio per questo ancor più invitanti.

Io non sono solo. Io sono la moltitudine.

Categorie: la folla vive di questo. Appoggia se stessa sulla consapevolezza della conoscenza del Bene e del Male, ogni folla secondo i condizionamenti della propria cultura, del proprio retaggio. Io ho afferrato questo bagaglio e l’ho gettato a mare, cibo per pesci. Non ho bisogno di determinare assoluti, non necessito di categorie prese per compartimenti stagni, ma posso decidere di volta in volta cosa scegliere. La folla non può. Attenta all’accettazione di se stessa in mezzo agli altri individui della folla stessa, essa cerca disperatamente di riprodursi secondo canoni prestabiliti di normalità e convenienza; e nel farlo crea salassi mostruosi: assassini, malavitosi, pedofili, uomini senza scrupoli, guerrafondai, infanticidi. Io non ho bisogno di cercare categorie con cui poi fare salasso di me stesso. Mi basta sapere come riempire i secondi che vanno a riempire i minuti, i minuti le ore, le ore i giorni, e così via fino alla mia estinzione. E nel farlo, posso di volta in volta cambiare le carte in tavola, giocando con una mia nuova personalità e un mio nuovo modo di cercare prospettive nelle cose.

Io non sono solo. Io sono la moltitudine.

La folla cerca una costruzione solida in cui sopravvivere. Un ambiente familiare. Una casa. Un lavoro. Un bozzolo di credibilità da esibire. E possibilmente nessun allarme e nessuna sorpresa, perchè non li sa affrontare. Io non ho bisogno di sopravvivere se non per me stesso, perchè non mi esibisco per sfuggire quel nulla che la folla chiama incomprensione e incomunicabilità. Da chi devo farmi comprendere, se non da me stesso? Con chi devo comunicare, se non con il mio Io più recondito? Allarmi e sorprese covano in me, per questo se arrivano dall’eserno, so dominarli. Per la folla, tutto è esterno: malattie, guerre, debiti, crisi economiche, crisi energetiche. Di fronte a tutto questo, la folla si sente pedina. Mossa su di una scacchiera nella quale non riconosce nulla se non se stessa, non sa affrontare le pedine nemiche, non le sa distnguere da quelle amiche. Io ho una qualità superiore: io posso decidere di volta in volta quale pedina considerare amica e quale nemica, a prescindere dal suo assoluto. E questo perchè il nemico più terribile e l’amico più fedele sono dentro di me.

Io non sono solo. Io sono la moltitudine.

La folla gestisce la sua qualità attraverso la valutazione del successo o del fallimento. Cerca di muoversi verso un bene, un vantaggio universalmente dichiarato, e qualora non riesca a raggiungerlo, si dichiara sconfitta. Io non faccio questo, perchè è un meccanismo perverso. Io vivo qui, al confine con tutte le vittorie e di tutte le sconfitte, consapevole che in tutte le grandi vittorie vi sono piccole sconfitte lasciate alle spalle, in tutte le più terribili sconfitte vi sono nuove piccole vittorie da scovare. La folla poggia la sua integrità sul definito; io mi sostengo con l’indefinito. La folla si accontenta di ciò che crede di essere; io trovo soddisfazione solo in ciò che posso anche solo minimamente sentire di diventare. la folla vive in prima persona. Io sono terzo pure di me stesso.

Io non sono solo. Io sono la moltitudine.

La folla la rifiuto / Io mi ricerco continuamente
La folla la tradisco / A me stesso rimango fedele sempre
La folla la distinguo / Io riesco ad essere nebuloso
La folla ha un valore / Io riesco a vivere nel vago

Il perchè? La soluzione è nota...

Io non sono solo. Io sono la moltitudine.
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