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Post: 472 | Registrato il: 06/11/2006 | Sesso: Maschile | Power Handler | King Of Fight | Stivi / Canzano | |
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  11/02/2007 23:43 | |
Dimenticare le catene
[Riassunto dello spot precedente: Stivi, dopo essere stato soccorso nel suo tentativo di suicidio e successivamente curato, scopre che il suo salvatore in realtà è un uomo del suo acerrimo nemico Hugh Perenzio, che lo incatena nella cantina della casa; ma la scoperta più sconvolgente di Stivi è che sua sorella Melody è ancora viva, e per di più non solo lavora ancora per Perenzio, ma ne è pure la sua amante]
11. Colloquium vitae.
Da troppo tempo ormai... Quelle catene a stringere e graffiare i polsi... Da troppo tempo ormai...
Stivi sente la porta della cantina aprirsi, ma non ha nessuna voglia di aprire gli occhi. Meglio tenerli chiusi e non guardare, cercare di fare del mondo una pallina di mollica, quindi ingoiarla, inghiottirla nell’oblio della mente. Vorrebbe uno dei suoi vuoti, adesso, ma sa che loro non arrivano a comando. Quando sente delle scarpe con tacco a spillo muoversi nella cantina, è come se quella calzatura appoggiasse la sua parte puntuta sulla tenera membrana del suo cuore. Che strana sensazione di smarrimento sapere che Melody sta giungendo a lui. Ma non può smettere di tenere chiusi gli occhi.
“Stivi...” sente chiamare dalla sorella.
Stivi...
Stivi...
Ancora una volta, come una supplica a guardarla...
Stivi...
Ma Stivi non la guarda, continuando a tenere serrati gli occhi. Ascolta quella voce, che non può ignorare del tutto.
“Stivi, apri gli occhi...”
No, non aprirò gli occhi.
(Cosa credi di ottenere da questo tuo atteggiamento?)
Non lo so, ma non voglio guardare.
(Guarda, idiota!)
No.
(Apri gli occhi e guarda!)
No!
“Non aprirò gli occhi, Melody. Non voglio più vederti... così...”
“Così è come tu mi hai fatto diventare”, gli fa notare la sorella.
“Non intendo come sei fisicamente. Le scottature, il volto sfigurato... Quelle sono cose che posso accettare. È come è diventato il tuo cuore che non accetto. Duro come pietra. Sicuro che pulsi ancora?”
Melody sputa per terra, lo sente chiaramente, poi replica: “Da quando ti interessi delle curve del cuore? Le passioni non sono mai state il tuo forte. Sei sempre stato un ragazzo chiuso in te stesso, con poche parole per gli altri, mai un gesto di affetto. Protezione, certo, quella me l’hai data; ma non ti ho mai sentito dire che mi vuoi bene. Mai una volta. Cos’è, sei cambiato?”
“Cambiato, sì. Ma anche tu sei cambiata. Più di me.”
Melody urla: “Io sono sempre la stessa!”
Strepita. Sa di aver torto.
Stivi mormora, sempre ad occhi chiusi: “Ricordo un’altra Melody. Una Melody adolescente, che teneva un diario segreto, e che parlava con lo specchio del bagno, confessandogli sogni e preoccupazioni. Una Melody animalista fino all’eccesso, ma per questo piena di ideali, e di mulini a vento contro cui combattere, come una moderna Don Chisciotte in gonnella. Una Melody altruista, con l’allegria dipinta sul volto. Sognante la mattina appena sveglia, raggiante anche la sera, presa dalla stanchezza. Dov’è finita mia sorella, Melody? Cosa l’ha inghiottita portandola via?”
“Piantala,” risponde la ragazza, non senza un tremolio nella voce. “Tu vivi di ricordi.”
“E che c’è di male?”
“Molto. Perlomeno fino a che non avrò deciso se i ricordi sono qualcosa che abbiamo perduto o qualcosa che non possiamo più ripetere.”
Stivi apre gli occhi, evitando però di guardarla. “I ricordi sono una cosa più semplice.”
“Cosa intendi dire?”
“I ricordi sono semplicemente la nostra vita...”
Stivi torna a richiudere gli occhi, per paura di incontrare quelli di lei.
“Torna la Melody che eri.”
“Quella Melody non c’è più.”
“Torna la Melody che eri.”
“Vaffanculo, Stivi! Mi hai stufata! Adesso me ne torno di sopra e ti lascio qui a smaltire le tue malinconie, come il topo di fogna che sei. E quando tornerò, voglio che tu mi guardi, dritto negli occhi, perché potrebbe essere l’ultima volta!”
Ancora ad occhi chiusi, Stivi ascolta i passi della sorella abbandonare la stanza. Poi finisce preda di un vuoto, ma stavolta è puro balsamo.
12. Breve momento onirico.
Il vuoto non è vuoto del tutto, ma si riempie di immagini, di suoni.
Melody...
Prima è solo una voce, fioca, lontana. Poi, d’improvviso, giunge la Melody bambina, che gioca con una bambola, la Melody adolescente che si arrabbia di fronte alla pena di morte, agli abusi del capitalismo, alla vivisezione degli animali, alla guerra, a tutte le ingiustizie del mondo. Poi Melody diviene quell’ingiustizia: un’ingiustizia verso se stessa, che la spegne a poco a poco. Melody è una torcia umana nella sua mente, e parla:
“Questo non è il fuoco che mi hai procurato tu, fratellone. Questo è il mio fuoco. Il fuoco che ha bruciato i miei ideali, li vedi salire al cielo come fuliggine? Ecco, guarda dove il fuoco riluce di più, al centro del mio petto, all’altezza del cuore. Vedi come questa luce si va via via affievolendo, proprio come un fuoco che perde la sua capacità di combustione? Il mio cuore si fa cenere. Con lui spariscono gli ideali, le convinzioni, i sogni di un cuore irrequieto e combattivo, che dovrebbe continuare a lottare fin quando pulsa. Se tu hai un cuore così, conservalo. Anche quando, vecchio e stanco, ti sentirai inutile alla causa che vorrai portare avanti. Non c’è inutilità in un ideale. Un ideale spinge a cambiare ciò che non ti piace, e se i tuoi arti non riescono più a farti correre, a permetterti di scagliarti contro plotoni di conservatori del potere costituito, molto potrà fare ancora la tua parola. Gridata, mai sussurrata. Non limitarti a voler bene, Stivi: ama! Non limitarti a voler male: odia! Non limitarti a definire cosa è bene e cosa è male: creati le tue personali categorie di bene e male. Non limitarti a desiderare: pretendi! Non fare come sto facendo io.”
Ad un tratto il fuoco scompare, e la figura di Melody prende le fattezze odierne, sfigurate da quel fuoco che l’ha realmente aggredita, mesi or sono.
“Vedi cosa sono diventata? No, non fisicamente. Dentro!”
Si mette una mano nel petto, e ne estrae il suo cuore. La forma intatta, ma non più di carne: un ammasso di porfido opaco, inespressivo.
“Vedi? Non pulsa più. Non gioca più con le emozioni, in rapide capriole. Nessun nodo in gola, quando i sogni vengono frustrati. Nessun tremolio delle mani, quando essi si concretizzano. Vuoi diventare così, lasciare che un fuoco distruttore ti consumi? Nulla potrà consumarti, se tu non lo vorrai. Ascolta i battiti del tuo cuore, anche quando pensi siano dolorosi, anche quando pensi che raccontino solo di agonie e sofferenze...”
E il cuore di Stivi comincia a farsi sentire.
Tu-tump, tu-tump, tu-tump....
La voglia di reagire, di non rimanere incatenato che sale.
Tu-tump, tu-tump, tu-tump...
Il desiderio di distruggere Hugh Perenzio, di liberarsi di quell’oscura presenza che cresce.
Tu-tump, tu-tump, tu-tump...
E il risveglio da quel momento onirico come unica soluzione per sfuggire a quella situazione.
Aprire gli occhi.
(Come puoi fidarti di un tuo incubo, idiota?)
Quello che devo fare.
(Devi rimanere qui, dove tutto e niente si confondono.)
No, no! Scappare!
(Scappare come, idiota?)
In qualunque modo.
Stivi apre gli occhi.
13. Polsi liberi.
Quello che deve fare... Liberarsi... La fuga come punto di partenza per la vendetta...
Ma si accorge subito di una stranezza. Le braccia, liberate dalle catene, pendono ai suoi fianchi. Che sta succedendo? Perché non è più legato? Tanta libertà improvvisa lo spaventa. Si alza, il dolore al polpaccio ferito è abbastanza esile da permettergli di spostarsi con tranquillità. La porta di quella umida cantina è aperta, un fascio di luce si irradia nell’ambiente, e un enorme ratto mostra la sua sagoma repellente passandovi vicino, celere nel timore di farsi scorgere. Che sta succedendo? Domanda che ritorna, irrisolta.
Succede che sono libero.
(È una trappola, idiota!)
Quello che devo fare.
(Non fidarti!)
Non ho alternative.
(Aspetta che vengano, idiota, e coglili di sorpresa.)
Melody ci ha ripensato, e mi ha liberato.
(Ridicolo! Mai più!)
Quello che devo fare.
Risale le scale della cantina e si porta nella casa. Attraversa il corridoio. Non si sente volare una mosca, e la sua mente registra l’anomalia come una possibilità di pericolo. Ma riflette: è solo una casa disabitata; tutti sono usciti. Troppo facile? Sì, è la sua stessa impressione, ma che serve mettersi a fare delle elucubrazioni? Punta dritto verso la porta d’ingresso della casa, senza esitazioni, in fondo a quel corridoio, là dove risiede la salvezza. Ma quando passa vicino alla porta del soggiorno...
BANG!
Lo sparo passa a pochi centimetri dalla tempia, gli accarezza un ciuffo di capelli e si infrange nel vetro di un quadro, mandandolo in mille pezzi. Subito Stivi si ritrae dietro lo stipite.
Una trappola!
(Che ti avevo detto, idiota?)
Taci!
Stivi si sporge quel tanto che basta per provare a vedere chi gli sta sparando dal soggiorno, ma deve ritrarsi subito: una seconda pallottola colpisce lo stipite della porta. Stivi vede schegge di legno saltare via.
“Frank? O come cazzo ti chiami...”
“Mi chiamo Alan, e comunque sì, sono io. Visto che bel gioco? La via di fuga è vicina, ma tu verrai prima bucato da questo bel giocattolo che tengo in mano.”
La voce si fa più forte, il che significa che Alan si sta avvicinando. Aspetta ancora un attimo poi... Con un grido si lancia contro l’uomo, facendo precipitare entrambi sotto al caminetto. Stivi gli sottrae la pistola, afferra l’attizzatoio e comincia a colpire: una, due, tre volte al volto. E ancora, ancora...
Quello che devo fare.
(Che fai, idiota, lo vuoi ammazzare?)
Quello che devo fare.
(Fermati, santo cielo, fermati!)
Quello che devo fare, quello che devo fare, quello che devo fare.
Ancora una volta, per convincersi: quello che devo fare.
Smette. Alan non si muove più, il volto ridotto in macerie. Stivi si alza, getta a terra l’attizzatoio ed abbandona la casa. Libero. Ma per quanto?
14. Qui e adesso.
Qui e adesso.
Dove sono e quando.
Qui.
In una città della North Carolina, negli Stati Uniti d’America. Trascinandomi per la strada, fra case colorate di un tranquillo quartiere della media borghesia americana. Ecco dove mi trovo. Ma posso permettermi di restarci?
Adesso.
Ora è tutto pericoloso. Ogni sguardo, ogni movimento. Ho appena ucciso un uomo di Hugh Perenzio. Quella è gente spietata, che non me la lasceranno passare liscia. Adesso sono veramente in pericolo di vita. Ad ogni secondo che passa, ad ogni respiro. Uno in più che si aggiunge è un mero regalo.
Qui e adesso.
Non devono coincidere.
Qui per me è pericoloso.
Adesso me ne devo andare. Scappare il più lontano possibile, fin quando le acque si calmeranno. Se mai accadrà. E intanto, coverò i miei desideri di vendetta.
Quello che devo fare...
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