“Nebbia agli irti colli, piovigginando sale […]”
Passeggio.
Nelle strade è buio pesto. Non ho idea di che ore siano, ma sono certo che sia notte fonda. Quello di passeggiare è uno dei pochi svaghi che mi rimane in questa maledetta vita che mi ha regalato troppe torture. Un momento rilassante è lecito, come minimo.
Entro in un’enorme piazza deserta e mi siedo su una panchina. Ammiro la bellezza del cielo buio, dell’oscurità, delle tenebre, i miei luoghi preferiti. Prendo una sigaretta e la accendo, per poi poggiarla tra i miei denti.
TIN TIN
Sento un rumore metallico, qualcosa deve essere caduto nella strada vicino a me. Ma sono solo, non può essere! Ah, ma non importa, voglio godermi questi attimi di pace in assoluta libertà.
Nell’oscurità, in un vicolo buio, vedo un profilo seminascosto. Ma di che mi devo preoccupare, sarà qualche barbone ubriaco.
…
Passano secondi di interminabile silenzio.
…
Svengo improvvisamente, come se qualcosa mi abbia colpito. Prima di perdere i sensi cerco di identificare la persona che ha compiuto questo gesto, ma non riesco nell’impresa.
Chiudo gli occhi, svenuto…come un debole.
Come un lurido verme.
Mi risveglio, non ho idea di quanto tempo sia passato. Sotto di me la terra è ghiacciata, come la mia mente in questo preciso momento.
Mi alzo e mi guardo intorno per cercare il mio aggressore.
Ma nulla.
Vedo solo nebbia.
Nebbia che pare infinita.
Provo ad urlare e la risposta viene prodotta dal mio stesso eco.
Sono circondato dal nulla più totale.
Dopo qualche passo riesco ad identificare quello che dovrebbe essere un cancello, lo apro e mi ritrovo nel bel mezzo di un cimitero abbandonato.
La nebbiolina bianca scompare, per lasciar spazio ad un tipo che non avevo mai visto…nebbia rossa che circonda le lapidi, e le fa sembrare un tutt’uno.
Rossa come il sangue.
Il mio amato sangue.
Vicino al cimitero, praticamente attaccato a quest’ultimo, è situata una casa, probabilmente abbandonata. Mi avvicino con molta cautela. Sono di fronte alla porta. Leggo l’insegna:
“Lasciate ogni speranza, o voi che entrate”.
La porta dell’inferno.
La apro, e quest’ultima produce un tenebroso scricchiolio.
Entro dentro.
Le pareti sono macchiate da un misterioso liquido rosso che mi da l’impressione di essere sangue.
Uno specchio sul muro è rotto e i frammenti dei vetri sono a terra.
Una torcia su un vecchio tavolino impolverato è accesa, il fuoco deve essere stato applicato pochi minuti prima.
Percorro tutto il corridoio, e, alla fine, una stanza dall’aria terribilmente familiare mi si pone davanti.
Quella stanza. La stanza di soggiorno dove la mia famiglia fu massacrata.
Chiudo violentemente la porta e mi accingo ad uscire con una goccia di sudore che percorre lentamente la mia nuda schiena, ma due individui in camice bianco mi si parano davanti.
E’ la stessa scena del mio rapimento.
E mi fa ancora paura.
Tento di scappare per quel corridoio e mi rifugio in una stanza buia.
TIC – TAC – TIC – TAC.
Un carillon acceso è l’unico rumore percebile in quella stanza…
Buia.
I tentacoli delle tenebre mi avvolgono.
Ricordo che da piccolo avevo una gran paura del buio, che poi sconfissi quando fui rinchiuso nel manicomio.
Ma ora ho di nuovo paura.
Sto sudando freddo.
Esco velocemente dalla porta e poi dalla casa.
Sto correndo.
Inciampo in una lapide e i miei occhi leggono la scritta incisa sopra:
“TOM PSYCHO, 1954 – 1984”
E’ la tomba di mio padre.
Ne leggo un’altra:
”CARLA KRAD, 1956 – 1984”
Quella di mia madre.
Attimi di silenzio.
Mi accingo a leggere l’ultima, stringendo la terra con rabbia.
”ROMAN PSYCHO, 1982 – 1984”
Io sono morto.
Io non esisto.
Io sono un’anima perduta condannata a vagare per il mondo per l’eternità.
La casa prende improvvisamente fuoco.
Brucia.
Quella casa è l’inferno.
Il MIO inferno.
Io sono un diavolo.
Nessuno mi ha portato qua. Ci sono venuto da solo inconsciamente.
Perché sapevo cosa dovevo fare.
Ora è tutto chiaro.
Apro il cancello e mi rimmergo...
Nel mio habitat naturale.
Nel mio territorio.
Nella mia casa.
La nebbia.